ROMA – Pubblicato a fine 2022 su BBC iPlayer, ma oggi disponibile anche su Youtube, Russia 1985-1989:Trauma Zone è un documentario in sette puntate sulla Russia di fine anni Ottanta, ovvero su quel breve e drammatico periodo che va dal crollo del comunismo alla fine delle speranze di veder nascere una democrazia. Completata la digitalizzazione dello sterminato materiale d’archivio raccolto sul campo in quegli anni, la BBC ingaggia Adam Curtis, uno dei suoi più noti e premiati documentaristi, per un lavoro tutt’altro che semplice: utilizzare il materiale per raccontare quei 14 anni che ancora oggi influenzano profondamente la storia del mondo. Il risultato è un capolavoro di sintesi cruda, a tratti crudele: il montaggio di immagini esclusivamente d’epoca con il relativo audio in presa diretta ed un supporto minimale dei sottotitoli trasforma ogni puntata di Trauma Zone in un viaggio per immagini tra due livelli: quello del centro, degli eventi e delle decisioni da una parte, quello delle periferie e delle ricadute sulle vite delle persone dall’altra.

È un viaggio nei ciechi meccanismi della Storia che travolgono tutto e tutti, ma è anche una testimonianza brutale sugli effetti del potere esercitato senza i limiti delle regole. La prima parte racconta lo schianto del modello economico-produttivo comunista basato sulla pianificazione centralizzata, un modello demenziale in cui un’enorme macchina burocratica decideva il fabbisogno necessario a soddisfare tutti i bisogni, dall’acciaio ai vestiti, fino a quanti km avrebbero dovuto fare i taxi. Un fiducia enorme riposta nella componente razionale dei comportamenti di consumo che finisce per schiantarsi contro gli elementi simbolici e relazionali dei consumi (la moda). A schianto avvenuto, la seconda fase è l’inizio dell’anarchia e del “si salvi chi può” conseguenza del venir meno delle regole fondamentali su cui poggiava la società.

Mentre, con il supporto delle grandi società di consulenza americane, si mettono in pratica le teorie economiche per il passaggio da un’economia statale ad un economia di mercato generando aumenti di prezzi così violenti da impedire improvvisamente l’acquisto dei beni di prima necessità a milioni di persone, su altri tavoli si apparecchiava il più grande furto della storia. Durante il processo di privatizzazione delle aziende pubbliche, ad ogni cittadino russo venivano dati voucher con l’obiettivo di trasformare i cittadini in azionisti e costruire una base di ricchezza diffusa. La condizione dell’economia reale era così disastrosa che le persone furono costrette a vendere tutto quel poco possedevano per sopravvivere, inclusi i voucher che vennero comprati ad una frazione del loro valore reale da quelli che in seguito sarebbero diventati gli oligarchi.

Un assalto alla diligenza condotto da chi avrebbe dovuto gestire la transizione del modello economico secondo i principi dell’interesse comune. Gli oligarchi si costruirono le loro banche e si impegnarono con lo stato russo a sostituire le banche pubbliche per pagare i lavoratori. Presero i soldi ed invece di alimentare l’economia interna li investirono in operazioni finanziarie, immettendo soldi non loro nei mercati finanziari mondiali, lasciando senza soldi le imprese e senza stipendio i lavoratori. Le aziende iniziarono a pagare i dipendenti con i beni che producevano e si tornò presto al baratto. Gazprom venne venduta da un Ministro a se stesso ad un valore migliaia di volte inferiore a quello reale. Una volta concentrata in pochi anni tutta la ricchezza e il potere nelle mani di pochi oligarchi, la politica finì per perdere ogni significato, diventando un teatrino angosciante dentro cui si muovevano burattini e pagliacci pericolosi al servizio del potere.

Le “elezioni democratiche” venivano avvelenate attraverso il controllo assoluto dei media e l’uso di partiti-fantoccio al fine di eleggere chi garantiva continuità al potere. Quando si dissolve la trama invisibile su cui poggia la vita quotidiana delle persone, il trauma collettivo è profondo e la richiesta di risposte apre il varco a chi è pronto ad approfittarne, come i ciarlatani approfittano dei malati. Allora arriva inevitabilmente il momento in cui il veleno a base di nazionalismo, violenza e religione si presenta come fosse la cura, in ricordo di un tempo passato che spesso non è neppure mai esistito. Anche la guerra in Cecenia si riduce a strumento di distrazione di massa: aprire un fronte esterno per evitare la resa dei conti sui fallimenti interni. È il 1994 ma fa impressione vedere le similitudini con l’Ucraina del 2022: c’erano già tutti i semi che hanno prodotto i frutti del male di oggi.

La Cecenia fu un tritacarne in cui finirono a morire migliaia di ragazzi russi senza alcuna ragione se non l’autoconservazione del potere. Le immagini delle madri dei soldati che andavano in Cecenia per cercare i propri figli al fronte e riportarli a casa sono strazianti, senza tempo ed allo stesso tempo terribilmente attuali. Il viaggio si conclude con il 1999 quando gli oligarchi, per sostituire uno Yeltsin complice e vittima, decidono di puntare su un anonimo burocrate che coltivano, con l’obiettivo di garantirsi potere e futura impunità. Il grigio burocrate prima diventerà capo dei servizi segreti interni, poi verrà eletto in parlamento, poi primo ministro ed infine presidente. Il resto è un’altra storia, la storia di Vladimir Putin. Trauma Zone è una testimonianza costruita su immagini, suoni e volti. Di ragazzi, di madri e bambini, ma anche di uomini feroci a cui nessuno ha saputo mettere un limite prima che fosse troppo tardi.

È un documento prezioso e compassionevole verso un popolo che ha dovuto vivere sulla propria pelle prima il crollo del comunismo, poi il tragico inganno di una democrazia stuprata. Trauma Zone è allo stesso tempo un monito verso la necessità di preservare le regole che governano il mondo in cui abbiamo la fortuna di vivere. Perché è un attimo che le cose finiscano male e la Storia, al contrario dei film della Marvel, è un lungo elenco di cattivi che vincono. Se avete dubbi, chiedete ai russi.
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