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Silvia Zavattini: «Da Fidel Castro a De Sica, l’incredibile vita di mio nonno Cesare»

De Sica, Cuba, Sanremo: la nostra intervista alla nipote di Zavattini, autrice di un nuovo libro

ROMA – Schietto, innamorato degli esseri umani, osservatore delle persone, soprattutto di quelle più semplici. Cesare Zavattini è stato con Vittorio De Sica e Roberto Rossellini uno dei padri del Neorealismo, un autore che ha raccontato come pochi l’evoluzione del nostro Paese. Un libro, Zavattini a Roma. Di padre in padre, edito da Castelvecchi, ne mostra gli aspetti meno conosciuti e più intimi, dal grande amore per il festival di Sanremo alla passione per l’arte, all’amicizia con Fidel Castro e Gabriel García Márquez. Lo ha scritto Silvia Zavattini, nipote del grande sceneggiatore, assieme a Steve Della Casa. E proprio con l’autrice abbiamo parlato di Zavattini, uomo privo di senso pratico, amato alla follia dalla moglie Olga e dalla madre Ida, capace di scrivere la scena di un film solo osservando il lavoro quotidiano di una domestica.

Silvia Zavattini
Zavattini a Roma. Di padre in padre, la copertina del libro

Cominciamo dall’inizio: cosa ti ha spinta a scrivere questo libro?
«Innanzitutto, l’amore per mio padre Marco. Mi ha sempre raccontato episodi che riguardavano la sua vita e la vita in famiglia, ed erano belli, interessanti. Secondo me avrebbero potuto interessare tutti, in particolare chi ha avuto modo di ascoltare dai propri genitori o dai nonni le storie sulla guerra e sul periodo successivo. Mi sarebbe dispiaciuto, insomma, se tutte queste storie fossero andate perdute. Tutto è iniziato quindi da una serie di appuntamenti la domenica pomeriggio con mio padre. Gli facevo raccontare le cose casualmente e ho iniziato a trascriverle. Dopo aver raccolto il materiale è venuta l’idea del libro e l’incontro con Steve Della Casa. Sono felice di poter dare il mio contributo affinché la memoria di mio nonno non vada perduta. Anche se non sarà certo questo nostro piccolo libro a dare giustizia a quello che ha fatto…».

Silvia Zavattini
Cesare Zavattini a braccia aperte

Qual è stato il tuo rapporto con Steve Della Casa, come vi siete divisi i compiti?
«Più che una divisione, si è trattato di agire in maniera naturale. Il libro è organizzato su piccoli capitoli miei che si intervallano con quelli di Steve, più focalizzati sui film e sul periodo culturale degli anni ’40, ’50 e di quelli successivi. Io ho trattato la parte privata, senza alcuna presunzione di fare uno studio sul Neorealismo, cosa che è stata già fatta brillantemente da professori universitari e studiosi. Il mio è ritratto che una nipote fa del proprio nonno, anche se è stato un nonno d’eccezione».

Silvia Zavattini
Una scena di Umberto D.

Da nipote, quando hai visto i suoi capolavori cos’hai pensato?
«Mi sono sempre piaciuti, ma nel tempo li ho riscoperti e sono riuscita a scoprire qualcosa in più, a dargli significati nuovi. Forse tra i tanti film di mio nonno girati con De Sica, Umberto D. è il mio preferito. Questo non toglie nulla ad altri grandi capolavori come Miracolo a Milano, La Ciociara, Il boom, Ladri di biciclette, che hanno fatto la storia del cinema e lo dico con grande orgoglio».

La famiglia De Sica

Nel libro fai un ringraziamento speciale a Christian De Sica…
«A Christian dico grazie per aver scritto l’introduzione e vado anche oltre. In tutti questi anni ha sempre citato con grande rispetto e affetto mio nonno e non è qualcosa di scontato. Voglio ringraziarlo per il modo e l’attenzione che ha sempre dimostrato nei suoi confronti».

Cesare Zavattini e Fidel Castro a Cuba

Rivedendo anche su YouTube interviste e filmati relativi a Zavattini si scopre un uomo amabile e alla mano, colto, ma non spocchioso. Era davvero così?
«Sì, e penso sia stata una sua grande qualità. Ha sempre rivolto attenzione alle persone più semplici, che poi sono stati i protagonisti dei suoi film. In fondo la poetica del Neorealismo alla base aveva un concetto molto semplice, cioè che tutti noi abbiamo una storia da raccontare, dalla persona più importante alla più umile. Forse è questa immediatezza che è piaciuta tanto. Una semplicità che è il risultato di un pensiero che poi ritrovi nei libri e nei film. Il suo sogno era quello di mettere una telecamera vicina a una persona e seguirla 24 ore su 24, una sorta di Grande Fratello ante litteram. Conta la storia umana, ecco».

Cesare Zavattini. Foto di Paolo Monti

Dovessi scegliere un solo aggettivo per descrivere la personalità di Zavattini?
«La spontaneità, anche se forse non è il termine giusto. E poi ottimismo. Cito ancora una volta Umberto D. in cui il protagonista è un uomo solo, povero e rifiutato che sceglie di togliersi la vita. Cosa lo salverà? La vitalità del suo cagnolino amatissimo Flick. Questo vuol dire che anche nei momenti più bui della vita c’è sempre un’apertura e non era ottimismo a basso costo».

Nel libro scopriamo quanto Zavattini amasse Sanremo…
«Ci ha anche scritto un film, Nel blu dipinto di blu, ispirato al successo di Modugno. Questo per far comprendere come, accanto ai grandi capolavori, ci sono stati film assolutamente vicini alle passioni popolari come poteva essere l’esplosione di una canzone destinata a cambiare la storia della musica italiana».

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