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Sbatti il Mostro in Prima Pagina | Marco Bellocchio e il giornalismo della paura

Un imbroglio mediatico e Gian Maria Volonté per un film attualissimo da (ri)vedere in streaming

Sbatti il Mostro in Prima Pagina
Gian Maria Volonté in una scena di Sbatti il Mostro in Prima Pagina

MILANO – Sin dall’inizio di Sbatti il Mostro in Prima Pagina, Marco Bellocchio ci fa capire quanto ci tenga a inserire il racconto nel suo contesto storico, ovvero la primavera che avrebbe portato al maggio delle storiche elezioni italiane del 1972 (la stessa primavera in cui venne girato il film). La temperatura emotiva del Paese era altissima, e il regista decide di immergerci in quel clima attraverso immagini di repertorio: prima le piazze anticomuniste della “democrazia dell’ordine”, supportata a gran voce da un giovane Ignazio La Russa; poi manifestazioni della sinistra massimalista e i funerali di Feltrinelli a Piazza Castello, il tutto tra le note di Bandiera rossa e il coro “fascisti, carogne, tornate nelle fogne!”. Siamo a Milano, una città completamente diversa da quella di oggi e in preda ad una guerra ideologica senza quartiere. Uno stato vicinissimo a quello di sostanziale pre-guerra civile.

Volonté in Sbatti il Mostro in Prima Pagina
Volonté in Sbatti il Mostro in Prima Pagina

Ma questi disordini e fermenti avvengono emblematicamente nella parte bassa della città, all’altezza delle strade e dei marciapiedi sopra i quali si estendono -tesi tra un palazzo e l’altro di via Dante- i lunghi banner elettorali (“vota socialista!”, “vota comunista!”, “vota liberale!” e così via), manifesti perfettamente visibili e comunicativi, ma fisicamente troppo lontani per un possibile contatto con la folla, irraggiungibili nel loro sordo iperuranio. E in mezzo chi ci sta, tra la folla e i partiti? La stampa, naturalmente, che per Bellocchio però, in certi casi, appartiene colpevolmente più all’apparato che alla strada, poiché non si limita ad osservare raccontare, ma pretende di essere è un soggetto attivo e schierato della lotta di classe in corso.

Sbatti il Mostro in Prima Pagina
Il mostro in prima pagina

La testata di cui il film ci racconta il lavoro è Il Giornale, il cui editore è un certo Ingegner Montelli (un perfido John Steiner) e il redattore capo è Giancarlo Bizanti (Gian Maria Volonté): cinquecentomila copie di tiratura – quelle che ai tempi stampava più o meno il Corriere della sera – e un target di riferimento molto preciso, oltre che maggioritario nel paese: l’uomo tranquillo, onesto, che produce e ama l’ordine sociale, ma che ha paura per sé e per il futuro dei suoi figli, e nel giornale cerca soprattutto conforto, in vista di favorire un suo potenziale alleato nel governo che potrebbe uscire dalle elezioni. E già che ci siamo, si chiede Bizanti, perché non giocare con questa paura? Perché non assecondarla per indirizzare le scelte del lettore-elettore? Perché non indicare un nemico comune, magari uno neanche tanto simpatico, per serrare le fila di chi vuole difendere lo status quo?

Sbatti il Mostro in Prima Pagina
Una delle sequenze memorabili del film

Giovane, rivoluzionario, donnaiolo, improduttivo, sovversivo, comunista e pure bello. Queste sono le colpe di Mario Boni (Corrado Solari), la cui vita viene utilizzata dal giornale a servizio della sua lotta sociale. E così, senza battere ciglio, si trasformano i ‘sentito dire’ in prove, poco dopo si raggira una povera signora indifesa per strapparle una mezza confessione, si fanno un paio di chiamate ai contatti giusti nella polizia, e il gioco è fatto: il mostro, per l’appunto, può essere sbattuto in prima pagina. E il bello è che Bizanti, l’ideatore dell’imbroglio mediatico, lo sa benissimo di fare il gioco sporco, perché la sua è una strategia lucida, razionale, e motivata dal fatto che tutto è lecito quando le guerre sono ideologiche, quando di fronte si ha un nemico in luogo di un avversario.

Sbatti il Mostro in Prima Pagina
Una scena del film

Oltre a un paio di bellissimi dialoghi in cui il capo redattore e il suo giornalista più talentuoso e recalcitrante (Roveda, interpretato da Fabio Garriba) discutono sul senso del giornalismo e sul loro uso delle tecniche comunicative, la sequenza più significativa di Sbatti il Mostro in Prima Pagina è probabilmente quella in cui Bizanti rimbrotta la moglie (Carla Tatò). In quel breve passaggio emerge in modo duro ed esplicito la rigida gerarchia maschilista e autoritaria che si cela nel segreto delle case dell’alta borghesia milanese (quel sedicente focolare domestico posto orgogliosamente alla base della struttura sociale italiana dall’allora primo partito di governo); ma con ancora più forza si sottolinea la bassa (praticamente nulla) considerazione che il giornalista ha dei suoi lettori-concittadini, per lui nulla di più di sciocche pedine da manipolare, incapaci di orientarsi nel mondo per la loro passività intellettuale e dunque meritevoli di essere presi in giro e di pagare il prezzo di una lotta di cui non sanno niente, ma di cui dovranno decidere le sorti con il loro voto.

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