MILANO – Fin dall’inizio di Sbatti il Mostro in Prima Pagina – che ora ritorna al cinema a partire dal 4 luglio con 01 e Minerva in versione restaurata in 4K dalla Cineteca di Bologna – Marco Bellocchio ci fa capire quanto ci tenga a inserire il racconto nel suo contesto storico. Ovvero? La primavera che avrebbe portato poi al maggio delle storiche elezioni italiane del 1972, la stessa primavera in cui venne girato il film. La temperatura emotiva del Paese era altissima, e il regista decide di immergerci in quel clima attraverso immagini di repertorio: prima le piazze anticomuniste della “democrazia dell’ordine”, supportata a gran voce da un giovane Ignazio La Russa; poi manifestazioni della sinistra e i funerali di Feltrinelli a Piazza Castello, il tutto tra le note di Bandiera rossa e il coro “fascisti, carogne, tornate nelle fogne!”. Siamo a Milano, una città completamente diversa da quella di oggi e in preda ad una guerra ideologica senza quartiere. Uno stato vicinissimo a quello di sostanziale pre-guerra civile.

Ma questi disordini e fermenti avvengono emblematicamente nella parte bassa della città, all’altezza delle strade e dei marciapiedi sopra i quali si estendono – tesi tra un palazzo e l’altro di via Dante – i lunghi banner elettorali (“vota socialista!”, “vota comunista!”, “vota liberale!” e così via), manifesti perfettamente visibili e comunicativi, ma fisicamente troppo lontani per un possibile contatto con la folla, irraggiungibili nel loro sordo iperuranio. E in mezzo chi ci sta, tra la folla e i partiti? La stampa, naturalmente, che per Bellocchio però, in certi casi, appartiene colpevolmente più all’apparato che alla strada, poiché non si limita ad osservare o a raccontare, ma pretende di essere un soggetto attivo e schierato della lotta di classe in corso.

La testata di cui il film ci racconta il lavoro è Il Giornale, il cui editore è un certo Ingegner Montelli (un perfido John Steiner) e il redattore capo è Giancarlo Bizanti (Gian Maria Volonté): cinquecentomila copie di tiratura – quelle che ai tempi stampava più o meno il Corriere della sera – e un target di riferimento molto preciso, oltre che maggioritario nel Paese. Chi? L’uomo tranquillo, onesto, che produce e ama l’ordine sociale, ma che ha paura per sé e per il futuro dei suoi figli, e in quelle pagine cerca soprattutto conforto, in vista di favorire un suo potenziale alleato nel governo che potrebbe uscire dalle elezioni. E già che ci siamo, si chiede Bizanti, perché non giocare con questa paura? Perché non assecondarla per indirizzare le scelte del lettore che è anche e soprattutto elettore? Perché non indicare un nemico comune, magari uno neanche tanto simpatico, per serrare le fila di chi vuole difendere lo status quo?

Giovane, rivoluzionario, donnaiolo, improduttivo, sovversivo, comunista e pure bello. Queste sono le colpe di Mario Boni (Corrado Solari), la cui vita viene utilizzata dal giornale a servizio della sua lotta sociale. E così, senza battere ciglio, si trasformano i ‘sentito dire’ in prove, poco dopo si raggira una povera signora indifesa per strapparle una mezza confessione, si fanno un paio di chiamate ai contatti giusti nella polizia, e il gioco è fatto. Così il mostro, per l’appunto, può essere sbattuto in prima pagina. E il bello è che Bizanti, l’ideatore dell’imbroglio mediatico, sa benissimo di condurre un gioco molto sporco, perché la sua è una strategia lucida, razionale, nonché motivata dal fatto che tutto è lecito quando le guerre sono ideologiche, quando di fronte si ha un nemico in luogo di un avversario.

Oltre a un paio di bellissimi dialoghi in cui il capo redattore e il suo giornalista più talentuoso e recalcitrante (Roveda, interpretato da Fabio Garriba) discutono sul senso del giornalismo e sul loro uso delle tecniche comunicative, la sequenza più significativa di Sbatti il Mostro in Prima Pagina è probabilmente quella in cui Bizanti rimbrotta la moglie (Carla Tatò). In quel breve passaggio emerge in modo duro la rigida gerarchia maschilista e autoritaria che si cela nel segreto delle case dell’alta borghesia milanese, quel sedicente focolare domestico posto orgogliosamente alla base della struttura sociale italiana dall’allora primo partito di governo. Ma non solo, perché con ancora più forza si sottolinea la bassa (o nulla) considerazione che il giornalista ha dei suoi lettori, nulla di più di sciocche pedine da manipolare, incapaci di orientarsi nel mondo per la loro passività intellettuale e dunque meritevoli di essere presi in giro e di pagare il prezzo di una lotta di cui non sanno niente, ma di cui dovranno decidere le sorti con il loro voto. Moderno, attuale, imperdibile.
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- VIDEO | Qui una clip del film:
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