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Tra Fellini e Godard | Rifkin’s Festival e la lettera d’amore di Woody Allen al cinema

Umorismo, malinconia e riflessioni esistenziali per una commedia che celebra la vita e il cinema

Rifkin's Festival

ROMA – «I festival non sono più quelli di una volta». Impossibile non scoppiare in una risata dal retrogusto malinconico quando Mort Rifkin (Wallace Shawn) ex professore e fanatico di cinema protagonista di Rifkin’s Festival, 48° (e forse ultimo) film di Woody Allen finalmente in sala, pronuncia questa frase una volta atterrato con sua moglie Sue (Gina Gershon), addetta stampa cinematografica, a San Sebastian per seguire il festival della cittadina basca. È vero, Mort ha ragione, i festival non sono più quelli di una volta, complice una pandemia che ha ridisegnato le mappe di un’industria che solo ora, timidamente e con mille incognite, sta ripartendo. E lo fa anche grazie a Woody Allen che del cinema è uno dei nomi più influenti del XX secolo.

Rifkin's Festival
Wallace Shawn, Gina Gershon e Louis Garrel in una scena di Rifkin’s Festival

Ma Allen sembra volerci suggerire con Rifkin’s Festival che, prima ancora di essere un regista, è un appassionato cinefilo come il protagonista del film, sua ennesima proiezione di celluloide. Un film che parla di sogni (e incubi) a occhi aperti e che come un sogno – una seduta psicoanalitica – prende forma. Mort ci racconta a ritroso la storia del suo viaggio a San Sebastian dove ha accompagnato la moglie, ufficio stampa del regista del momento, Philippe (Louis Garrel), osannato da critica e pubblico e deriso da Mort che sospetta di un legame, oltre la sfera professionale, tra lui e sua moglie. Un viaggio che diventa per l’uomo l’occasione per superare il blocco che gli impedisce di scrivere il primo romanzo e per tirare le somme della sua vita. Complice anche la sua ipocondria che lo fa imbattere in una dottoressa, Jo (Elena Anaya), con una situazione matrimoniale altrettanto burrascosa.

Vittorio Storato e Woody Allen sul set del film

Woody Allen, dopo Un giorno di pioggia a New York in cui celebrava la giovinezza, in Rifkin’s Festival fa i conti con l’età adulta, con il pensiero della fine, con il tramonto dell’esistenza professionale ed umana, proprio mentre rende omaggio al cinema e ai maestri che lo hanno formato. Mort rilegge la sua vita e il suo presente alla luce dei grandi classici del cinema che ha insegnato per anni all’università. Da Quarto Potere a Jules e Jim, da Persona a Fino all’ultimo respiro, da L’angelo sterminatore a Il settimo sigillo passando per . Rifkin’s Festival è intervallato da parentesi meravigliosamente divertenti in cui Allen – insieme alla fotografia di Vittorio Storaro – si diverte a ricostruire scene cult del cinema europeo per parlare di vita e morte, tradimenti, paure, confessioni, passato, prese di coscienza.

Rifkin's Festival
Elena Anaya in una scena di Rifkin’s Festival

Se in Midnight in Paris il personaggio di Owen Wilson passeggiava per la Ville Lumière imbattendosi in Hemingway, Francis S. Fitzgerald o Salvador Dalì, qui Allen sceglie di dire grazie a Orson Welles e Jean-Luc Godard, François Truffaut e Ingmar Bergman, Federico Fellini e Luis Buñuel. I fari di un’esistenza dedicata al cinema di cui Rifkin’s Festival non esita però a prendersi gioco, tra giovani registi «di stronzate» che fanno film «contro la guerra» e domande assurde dei giornalisti. Un racconto frammentato, malinconico eppure ricco di umorismo, fatto di parentesi e tenuto unito dalla vita stessa che guarda al passato e al presente del suo protagonista capace, proprio grazie a quei film, di immaginare il futuro con meno paura.

  • BOOKS | A Proposito di Niente: Woody Allen e il senso della vita

Qui potete vedere il trailer del film:

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