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Non sono mai tornata indietro | Silvana Costa e quel racconto di identità e migrazioni

Presentato al Biografilm, il documentario è stato anche premiato. Ma cos’è? E perché merita la visione?

La protagonista Iole in una scena di Non sono mai tornata indietro.

MILANO – La verità? Senza il documentario come mezzo per raccontare e ricordare realtà e storie dimenticate, probabilmente molte vite e testimonianze non supererebbero la prova del tempo. Dimenticate. Per sempre. La rinascita di questo genere nella sua stagione d’oro passa così anche dal riportare alla luce passati e vicende di cui a volte si ignora l’esistenza, o non ci si rende conto di quanto abbiano influenzato moltissime esistenze. Ecco, questo è precisamente quello che riesce a fare Silvana Costa con Non sono mai tornata indietro, il bellissimo documentario presentato al Biografilm 2022 che, oltre ad aver riscosso un ottimo successo tra il pubblico, è stato anche premiato con il Best Film BPER Award. Ma cos’è? E di cosa parla?

La regista Silvana Costa da bambina con Iole in una vecchia fotografia.

Non sono mai tornata indietro (ri)porta agli occhi e alla mente del pubblico un’usanza arcaica, che per secoli ha caratterizzato certe dinamiche sociali – soprattutto nel Mezzogiorno – e che era segno di una profonda disparità sociale. Un’usanza che, di fatto, rendeva le vite umane commerciabili. Un tempo le figlie femmine delle famiglie contadine, quelle più povere che faticavano ad andare avanti, venivano vendute alle ricche famiglie aristocratiche in cambio di una casa e un po’ di cibo. Il destino di queste bambine? Segnato. Avrebbero lavorato tutta la vita per quelle famiglie, considerate come vere e proprie schiave, non avrebbero conosciuto altro fino alla fine delle loro esistenze. Questa pratica Silvana Costa è venuta a conoscerla molto bene, perché la sua tata, Iolanda, era una di queste bambine.

Iole in un momento di Non sono mai tornata indietro

Iolanda ha lavorato a servizio della famiglia Costa per trentasei anni. Quindi perché non raccontare la sua storia, e quella di tante come lei in modo da non essere dimenticata? E allora, in mezzo a foto d’epoca e visite tra i luoghi dei ricordi, tra dialoghi e interazioni in cui la stessa regista diventa parte del suo stesso documentario, Iolanda racconta la sua vita, ripercorrendo a ritroso quegli anni, lasciandosi trasportare dai ricordi e dalle emozioni, dal dolore e da un conflitto interiore che difficilmente si risolverà. All’età di quarantaquattro anni Iolanda lasciò l’Italia per trasferirsi a Toronto, dove cercò di costruirsi una nuova vita. Ma anche lì la sua identità di migrante che non aveva nulla in comune con gli altri nella sua stessa condizione, non le permise di trovare il suo posto nel mondo.

Un’altra scena di Non sono mai tornata indietro.

E scrive bene la giuria del Biografilm quando, nella motivazione della premiazione, sottolinea: «Per la scelta coraggiosa di riflettere sulla condizione umana di chi fugge ma resta prigioniero, lasciando allo spettatore lo spazio di potersi interrogare». Fuggire rimanendo prigionieri. L’identità e le origini. Il fenomeno della migrazione e quello delle bambine vendute, il conflittuale rapporto d’amore e d’odio con la propria terra (qui la Calabria) e il divario tra classi sociali da cui due donne appartenenti a due generazioni diverse hanno cercato di emanciparsi. Il documentario di Silvana Costa è uno spaccato di realtà che diventa non solo testimonianza, ma anche invito a riflettere, a trovare chiavi di lettura e un rapporto con la realtà attuale imparando dal passato. Una storia che per noi ha dell’incredibile, ma che nasconde anche un messaggio intrinseco di cui lascia al pubblico il compito di decifrare. Una visione da non perdere.

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