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TOP CORN | Perché Mosul non è il solito inutile action movie di Netflix

Potente, claustrofobico, reale: l’action prodotto dai fratelli Russo? Un grande film di guerra

Suhail Dabbach nel poster di Mosul. Il film passò a Venezia nel 2019.

MILANO – Una produzione AGBO, che ai più non dirà nulla, ma è la casa di produzione di Joe e Anthony Russo, da cui sono usciti anche gli ultimi due colossal Marvel dell’universo Avengers, e già questo potrebbe bastare. Ma cos’è esattamente Mosul? Un piccolo quanto grande film di guerra, visto a Venezia . Girato in lingua araba, racconta la storia vera di un’unità dei reparti speciali della polizia locale che si muove nel caotico e devastato labirinto di Mosul negli ultimi giorni di controllo da parte dello Stato Islamico, mossi da obiettivi che si rivelano via via nel corso della storia. È un film che, come un caffè arabo, deve sedimentare prima di lasciar venire a galla ciò che veramente è: un grande film di guerra.

Mosul
Suhail Dabbach e il regista Matthew Michael Carnahan sul set di Mosul. Ph. Jose Haro

Appena conclusa la visione, vi rimarranno impresse le scene claustrofobiche e violente degli scontri tra bande irregolari in un contesto di combattimento urbano. Casa per casa. Senza pietà, senza regole. Mosul, prima una città, ora non è altro che una voragine purulenta che rigurgita sulla terra i suoi diavoli dell’inferno. Una delle tante in quegli anni tra Iraq e Siria. Ma una volta messa da parte la violenza, emergono i messaggi. Da Salvate il Soldato Ryan in poi, i film di guerra ci hanno abituato a muoversi tra diversi piani, quello soggettivo e quello complessivo, con il secondo che ingloba il primo e lo contestualizza. Qui invece il contesto è solo caos e non si esce mai dal piano soggettivo di questa unità che si muove tra macerie come una muta randagia assetata di sangue.

Mosul
Suhail Dabbach i un’altra scena di Mosul.

Senza mettere mai in scena grandi battaglie, Mosul – che per chi se lo ricorda fu presentato a Venezia fuori concorso – riesce così a far emergere i temi della guerra all’ISIS dal punto di vista di chi tutto questo scempio l’ha vissuto – e lo vive – in casa propria. Mette in mostra la corruzione che, oltre agli aspetti più strettamente militari, è stata alla base dell’ascesa al potere dell’ISIS in Iraq, la composizione multietnica e multireligiosa di chi ha condotto la battaglia sul terreno, l’ingerenza iraniana e la fragile identità nazionale irachena, la ferita delle donne date in sposa ai combattenti dell’ISIS. Tutti temi rappresentati senza mai allontanarsi dal terreno, da quei pochi uomini e in un breve lasso temporale che copre esclusivamente la missione.

Un altro momento di Mosul.

Un film che ricorda Black Hawk Down per l’angoscia della battaglia urbana e Fury per la prossimità con i personaggi e la cupezza degli scenari, un film di guerra importante, il primo sulla guerra in Iraq senza la presenza degli americani, se non in un unico (e accusatorio) dialogo. Da vedere perché congela quegli elementi con cui intere popolazioni stanno iniziando a fare i conti, per un lungo percorso doloroso e amputato di elaborazione collettiva che ogni guerra richiede per generazioni. Il cinema, quello buono, riesce a raccontare ciò che fino a poco prima era indicibile, diventando parte della terapia.

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