ROMA – Un evento unico, un momento irripetibile davanti ad un pezzo di storia del cinema: Cinecittà ha dedicato una giornata a Francis Ford Coppola in occasione dell’anteprima di Megalopolis, consegnandogli anche la Chiave di Cinecittà e la dedica di uno dei viali degli Studios assieme. Poi, nel pomeriggio, è arrivato il momento della conferenza stampa con alcuni giornalisti, e lì noi di Hot Corn abbiamo avuto modo di incontrare Coppola e il suo visionario genio in un incontro in cui ha parlato di cinema, famiglia e – a 85 anni compiuti – anche di progetti futuri: «Vorrei girare ancora due film, sì, uno semplice e piccolo e un altro gigantesco, chissà se ci riuscirò…».

IL MAESTRO – «No, non mi ritengo un pezzo grosso, per cui non chiamatemi né Maestro e nemmeno Mr. Coppola, per tutti quanti sono Zio Ciccio. Anche perché ritengo che siamo tutti quanti parte di un’unica famiglia. Siamo parenti, cugini, tutti parte della grande famiglia dell’Homo Sapiens. E questo ciò che conta per me ed è ciò che mi interessa, non che i miei film siano apprezzati e considerati. Non il mio cinema, ma il cinema. È per me la migliore ricompensa e il miglior regalo che mi si possa fare è che un regista diventato importante venga da me e mi dica che ha cominciato a fare cinema dopo aver visto uno dei miei film. Questa credo sia la cosa più bella che possa capitarmi. Come ci sono stati giganti prima di noi, ce ne saranno altri dopo. In America non esiste al mondo che un regista parli male di un altro regista. C’è sempre una collaborazione. Da questo punto di vista mi reputo molto fiducioso…».

IO E ROMA – «Quando è iniziato il cinema? Centoquarant’anni fa? Chi faceva cinema cercava di fare l’affare. Non essendoci tanti soldi, tanti fondi, si cercava di trovare quello che costasse poco o che non costasse. E tutti conoscevano Roma, la storia romana, Caligola, Messalina, o libri importanti come Ben-Hur e la storia di Cristo, per cui rappresentava un’ottima base di film sin dall’epoca di Cabiria e del cinema muto. All’epoca ogni cinque anni usciva un peplum ambientato a Roma, la possibilità di girarvi film e di scegliere location conosciute consentiva anche di risparmiare. E da ragazzo, quando ho iniziato a fare cinema, tanti generi diversi, tante storie diverse, ma ho sempre voluto realizzare un’epopea romana. Mi chiedevo quale stile di cinema avrei seguito. Siccome c’è sempre stato questo desiderio di realizzare un film come Megalopolis, alla fine mi sono reso conto che avrei potuto ambientarlo a New York e in tempi moderni».

CINEMA – «Bisogna considerare una cosa: il cinema è fatto di arte e di business. Per il lato finanziario è ovvio che chi se ne occupa vuole che ci sia una formula predefinita per poterli realizzare, in modo che crei dipendenza nel pubblico che si ritrova a vedere le stesse cose realizzate alla stessa maniera. In questo senso non si corre alcun rischio. Chi co-finanzia il film ha modo di ripagare il debito senza problemi. Ma la domanda che dobbiamo porci è: il cinema è arte o business? Per me è arte ed è bene rendersi conto che il cinema che vediamo noi, o quello che vedranno i nostri nipoti saranno diversi tra loro, ma anche per come li possiamo immaginare. Ovviamente non è questo il modo di pensare di chi vede il cinema come business. Il discorso vale per Megalopolis. Non volevo che questa storia fosse basata e realizzata su una formula trita e ritrita, volevo che avesse un finale gioioso e felice, non è tramite dei cliché che avrei potuto ottenerlo. Tipo Mad Max, che ha comunque un finale prevedibile. Volevo fosse carico di speranze. Se volessi tracciare un confronto direi che con Megalopolis sta succedendo lo stesso che è capitato con Apocalypse Now. Quarantacinque anni dopo il film è ancora proiettato, visto e rivisto continuamente. Spero che lo stesso capiti a Megalopolis…».

IL FUTURO IN ITALIA – «Vorrei girare ancora due film: uno semplice e un altro gigantesco. Sono vicino alla morte, forse, chi lo sa. Il film piccolo lo girerò quasi interamente in Italia e lo farò per divertimento. L’Italia, in fondo, rappresenta il mondo, è un Paese fantastico in cui hai il meglio e il massimo di tutto, tranne un Governo che funzioni davvero (ride, nda). Dell’America mi importa poco, dobbiamo ragionare come popolo unico, come un’unica famiglia. La concezione dei Paesi secondo me è vecchio stile, il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di salvare il mondo, uniti, come un tempo. Lo sapevate che prima della Prima Guerra Mondiale si poteva girare liberamente, senza passaporto e senza confini? Riguardo la memoria, è un concetto importante che ci connette alla vita. È qualcosa dove eravamo prima di venire al mondo ed è per questo che la conosciamo tutti».

IL TEMPO, LA VITA – «Il mio rapporto con il tempo? Dovevo andare via e gli ho detto: “Tempo, fermati! Perché così me lo conservo”. Per certi versi sono riuscito a fermare il tempo ed è quello che fanno gli artisti: lo controllano. Ciò che oggi mi rende più orgoglioso è la mia famiglia. Ho una figlia, Sofia, che è una grandissima regista, una nipote, Gia, che ha vinto il Festival di San Sebastian (con The Last Showgirl, grande film, nda), un nipote, Nicolas (Cage, nda), che è un grandissimo attore, un figlio, Roman, che tra le tante cose ha scritto anche Moonrise Kingdom. La famiglia Coppola non è che abbia mai avuto tanti soldi, ma dedicavamo molto tempo al gioco e alla recitazione. Le nostre vacanze trascorrevano non solo a raccontare storie, ma anche a preparare atti unici da poter poi realizzare. Il concetto del gioco per me è fondamentale. Dovremmo giocare di più tra noi e con i nostri figli, e magari far lavorare i robot al posto nostro…».
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