in

Martin Scorsese: «Mean Streets? Il passato e i sogni. Ma il cinema non morirà mai»

Da Robert De Niro a La dolce vita, tra Mother e New York: il regista incanta Cannes con i suoi aneddoti

Martin Scorsese a Cannes sul red carpet di Everybody Knows. Foto Shutterstock

CANNES – Imprevedibile, sorprendente e divertente: Martin Scorsese, qui sulla Croisette per ricevere la Carrozza d’oro per il 50° compleanno della Quinzaine des Réalisateurs, si racconta al pubblico con onestà e senza filtri, dopo la proiezione del suo Mean Streets con Robert De Niro e Harvey Keitel, film che portò proprio a Cannes nel 1974. Tra battute e citazioni, Scorsese ripercorre le esperienze familiari, i traumi, le ispirazioni e le idiosincrasie sul set. Dopo oltre un’ora di talk viene letteralmente frenato dagli organizzatori perché avrebbe continuato ad oltranza, tirando fuori dal cilindro aneddoti dei suoi set cult. E, come spesso accade, Scorsese rende anche omaggio alle sue origini italiane e a quella commedia dell’arte che l’ha trasformato in un maestro.

Maggio 1974: Scorsese a Cannes per Mean Streets.

MEAN STREETS «No, non pensavo che il film avrebbe mai avuto una distribuzione, figurarsi un palcoscenico come Cannes, dove invece venne accolto con entusiasmo cambiando il corso della mia storia. La sceneggiatura di Mean Streets? Frutto della necessità di condividere i sentimenti che provavo per papà e il fratello: sono scomparsi a pochi mesi di distanza e sentivo di dover onorare la loro esperienza raccontandola. Così ho messo in scena la fratellanza, quel rapporto tra maschi che poi è diventato uno dei capisaldi del mio cinema».

Scorsese tra Robert De Niro e Harvey Keitel sul set di Mean Streets, 1974.

 

IL MENTORE «Un maestro di strada, un uomo che non aveva bisogno di aule e banchi: un sacerdote scomparso lo scorso anno. Mi ha seguito dagli 11 ai 17 anni insegnandomi una delle lezioni più importanti della mia vita: punta in alto e non accettare compromessi. Mi ha fatto vedere con l’esempio come amore e compassione potessero contrastare violenza e crimini, una realtà quotidiana nella zona di New York in cui sono cresciuto. Aveva una severità incredibile e io ero un pigrone che non voleva alzarsi per la messa della domenica. Lo ricorderò sempre per come si è preso cura dei più piccoli formandoli con dedizione e generosità».

Con Cameron Diaz sul set di Gangs of New York, 2002.

 

MOTHER «Il mio cinema riflette in parte l’umorismo che ho imparato a sviluppare nella vita. A pensarci bene i sociopatici, pur essendo individui pericolosi, restano i più divertenti. E, come insegna la commedia dell’arte all’italiana, offrono spunti per raccontare la realtà in maniera tragicomica. Prendiamo ad esempio Madre! di Darren Aronofsky, film che ho adorato: è una follia, un incubo buffo, con tutta questa gente che entra ed esce dalla casa della protagonista. In effetti due giorni fa ho proprio fatto questo sogno: non riuscivo a liberarmi di sconosciuti che non riuscivo a cacciare via».

Jennifer Lawrence e Darren Aronofsky sul set di Mother!

 

BATTUTE CULT «Per molti dei miei film mi sono chiuso per due settimane in isolamento per disegnare, dialogo per dialogo, tutte le scene. L’ho fatto per Quei bravi ragazzi, Taxi Driver e Mean Streets, solo per citarne alcuni. Mi mette ansia pensare di non aver tutto sotto controllo, ma ci sono stati casi in cui ho dovuto rinunciarci, perché era più importante parlare con gli attori. Poi però spero sempre che succedano quelli che chiamo “incidenti positivi”, sorprese che migliorano la mia visione. Un esempio? Robert De Niro in Taxi Driver. Quando gli ho sentito dire: «Ma dici a me?» non avrei mai potuto bloccare la ripresa e interromperlo. Eppure non era prevista quella battuta».

«Ma dici a me? Con chi stai parlando?». Robert De Niro in Taxi Driver, 1976.

 

L’INFANZIA «Sono un figlio della working class newyorkese, avevo l’asma e quindi mi venivano preclusi tutti gli sport. Per questo mi sono rifugiato nella musica e nel cinema. Il grande schermo mi permetteva di esprimere quello che avevo dentro. Prima è stato un rifugio, poi una carriera. Guardavo Luis Buñuel e m’incantava la sua apparente semplicità, mi lasciavo incantare da John Cassavetes e trasportare da film italiani che ancora oggi mi fanno piangere. Per questo sono convinto che il cinema non morirà: i grandi classici resteranno per sempre e non esiste gioia più grande di sentir dire ad un ragazzo che ha visto per la prima volta La dolce vita».

Anita Ekberg ne La dolce vita di Federico Fellini.
  • Volete rivedere Mean Streets? Lo trovate su CHILI qui a 0,99 euro.

Lascia un Commento

Peter Rabbit: La Sony mette in cantiere il sequel

The Heavy: J.J. Abrams produce un nuovo film sui supereroi