ROMA – C’erano una volta gli anni Settanta, i capelli lunghi, le Vans sdrucite e le giornate tutte uguali, tra fischi alle ragazze di Venice Beach e tavole da surf sotto braccio, in attesa di un’onda che profumasse di libertà. Ma, si sa, per chi è abituato a vivere borderline, a petto nudo, con il sole o con la luna, le regole sono (soprattutto e sempre) qualcosa da superare. Così, tre ragazzi di Dogtown, West Los Angeles quasi cinquant’anni fa, riscrissero le leggi dello skate, alterandole con quelle del surf. Non più acqua. Ma asfalto. Non più onde. Ma ginocchia sbucciate e amicizie distrutte. Anche perché ogni rivoluzione porta cicatrici. Quella crew di surfisti, i leggendari Z-Boys, coniarono i fondamentali di un nuovo modo di concepire lo skate, aggressivo e sfrontato, piroette impossibili e trick. I maestri? Stacy Peralta, Jay Adams e Tony Alva.
La loro storia nel 2001 è diventata un documentario, Dogtown and Z-Boys, diretto da Peralta, poi nel 2005 un film, Lords of Dogtown, diretto da Catherine Hardwicke, poi migrata verso Twilight. La pellicola traccia il percorso della rivoluzione, dall’idea agli esperimenti, fino alle gare, al trionfo, alle rotture. C’è la brutale e libera California anni Settanta, c’è la controcultura di un popolo che non si arrende, ci sono le piroette illegali nelle piscine dei ricchi di Beverly Hills – svuotate dalla siccità del ’75 – e c’è il mitico Jeff Ho & Zephyr Shop di Skip Engblom (nel film con il volto del mai troppo pianto Heath Ledger) reso il quartier generale di Peralta, Adams e Alva, rispettivamente interpretati da John Robinson, Emile Hirsch e Victor Rasuk.
Con un filtro fotografico dai colori caldi (opera di Elliot Davis, fidato braccio destro della Hardwicke, che negli anni Ottanta aveva anche lavorato con Coppola) che richiamano i tramonti di Santa Monica, Lords of Dogtown (su Youtube, Prime Video, AppleTV+) è un film pervaso da un’atmosfera di esuberanza e malinconia, un racconto adiacente ai fatti. Molti dei reali Z-Boys infatti, oltre Peralta, hanno collaborato con la produzione, partecipando dietro le quinte o in curiosi camei. E allora ecco una pellicola che esalta le necessità, divenute virtù, di chi non riesce a stare fermo un attimo, testimoni chiave di un passaggio culturale – non solo legato allo skate – che ancora oggi rimane fondamentale e che ancora oggi – visto con le dinamiche di oggi – rimane inspiegabile.
Tra un brano di Jimi Hendrix (Voodoo Child sui titoli di testa vale il film) e una canzone di Joe Walsh, e poi Bowie a tutto volume, con la macchina da presa della Hardwicke appiccicata ai volti dei protagonisti e alle ruote delle tavole, Lords of Dogtown riesce a far innamorare dello skate anche chi non sa nemmeno andare in bicicletta e rimarrete tutti affascinati da un trio tanto geniale quanto – irrimediabilmente – destinato a scoppiare. Perché? Perché il mondo, scopriranno i tre moschettieri, è asservito ad un unico e solo dio: il denaro. Peralta, Alva e Adams (quest’ultimo scomparso nel 2014 per un attacco cardiaco, purista dello skate che aborriva l’influenza commerciale), in bilico tra ruote, tavola e strada in una simbiosi che li avrebbe portati ad essere i re di un’intera generazione. Assolutamente imperdibile.
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- VIDEO | Il trailer originale del film.
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