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Mark Cousins: «Orson Welles? Oggi la sua giustizia sociale è necessaria più che mai»

Hot Corn ha incontrato il regista de Lo sguardo di Orson Welles.

Mark Cousins.

MILANO – «Erano anni che sognavo di vedere L’Ultima Cena e per celebrare questa giornata ho deciso di tatuarmi il nome di Leonardo Da Vinci». Parte così la nostra chiacchierata con Mark Cousins, davanti ad un Negroni sbagliato nella hall di un albergo milanese, mentre si toglie il maglione per mostrarci il tatuaggio fatto poche ore prima. Poco sopra impossibile non notare, invece, la firma di Orson Welles sulla pelle. Neanche il tempo di chiedergli cosa l’abbia spinto a realizzare Lo sguardo di Orson Welles, documentario impostato come una lunga lettera indirizzata a Welles, che Cousins tira fuori dallo zaino un vecchio stivaletto nero appartenuto al regista di Quarto Potere. «Ha provato ad arruolarsi per combattere nella Seconda Guerra Mondiale ma lo hanno scartato. Aveva i piedi piatti», confida mentre sfila dalla scarpa una soletta a riprova della veridicità di quell’aneddoto.

Mark Cousins e lo stivaletto di Orson Welles. Foto di M. Santacatterina.

DONALD TRUMP «Oggi avremmo bisogno più che mai di Orson Welles perché Trump è pericoloso. Welles non era un minimalista, capiva l’epica e molti dei suoi personaggi sono epici. Inoltre comprendeva il narcisismo, l’ego, la lealtà. Avrebbe decifrato immediatamente uno come Trump. Molto nel mio documentario parla del suo socialismo: la sua giustizia sociale e la sua lotta contro il razzismo sono ammirevoli. L’immaginazione di Welles si è formata tra gli Anni Venti e Trenta, gli anni di Hitler e Mussolini, un periodo di cui, in molti, credono ci sia eco nei nostri giorni. Ecco perché, oggi, la sua presenza sarebbe indispensabile».

Mark Cousins e la sua camicia anti-Trump ad una manifestazione di protesta contro il Presidente americano.

LE REAZIONI «Grazie alla radio, aveva una reazione immediata da parte del pubblico. C’era una costante risposta che gli ha permesso di affinare il suo intuito sulle opinioni altrui. Non era affatto un artista distaccato, ha sempre cercato il contatto con il prossimo. Si è identificato molto con l’Europa ma era la quintessenza dell’artista americano, costantemente interessato alla cosa pubblica».

Orson Welles durante una delle sue trasmissioni radiofoniche.

ARTISTA VS. INDUSTRIA «Quando è morto, molte delle sue idee sono rimaste incompiute. In tanti credono che il suo fosse autosabotaggio, una paura freudiana della fine. Ma io non credo fosse così. Ho trascorso molto tempo nella sua casa in Michigan, ho letto i suoi appunti e ho parlato con diverse persone a lui vicine. Nessuna di loro pensa che avesse un problema a portare a termine i suoi progetti. Semplicemente se sei un artista sperimentale in un sistema industriale, sono loro a non volere che tu finisca il tuo lavoro».

Orson Welles in F for Fake.

ORSON E LE DONNE «Credo l’unico tipo di donna che non gli interessasse fosse il prototipo della mogliettina perfetta. Voleva essere stimolato intellettualmente, era attratto da donne sicure di sé. Nell’era del #MeToo, quando approfondisci la vita privata di un uomo hai sempre paura di scoprire aspetti spiacevoli. Credo che Welles abbia ferito emotivamente le donne della sua vita ma che le abbia amate e sia stato amato da loro. Figure nient’affatto sottomesse che gli tenevano testa. Il contrario di Howard Hughes, direi…».

Rita Hayworth e Orson Welles ilgiorno del loro matrimonio. Era il 1943.

LE INFLUENZE «Amava disegnare e dipingere. Se dovessi individuare un movimento artistico che l’ha influenzato più di tutti, direi il Barocco. Se si vedono i dipinti del Tintoretto della Scuola Grande di San Rocco, i dettagli del Diavolo o della Crocifissione, sono wellesiani. Anche l’Espressionismo ha avuto una grande influenza sul suo lavoro. Sebbene il suo regista preferito fosse John Ford, i suoi film sono molto diversi. Il suo è un mondo visivamente distorto, esattamente come la pittura barocca. La sua arte era l’opposto nel Minimalismo, dell’Impressionismo o del Realismo. Orson Welles conteneva moltitudini».

La Crocifissione di Tintoretto del 1565 conservata nella Scuola Grande di San Rocco a Venezia.

I PROGRESSI TECNOLOGICI «Le nuove tecnologie? Le avrebbe adorate. Era frustrato dal sistema che gli imponeva cento persone sul set quando lottava per fare film che non fossero industriali. Nella città in cui vivo, Edimburgo, fece un discorso nel quale anticipava l’idea di un cinema in cui, in futuro, ai registi sarebbero stati sufficienti pochi strumenti per realizzare da soli i propri lavori».

Un’immagine tratta da Lo sguardo di Orson Welles.

LA MODERNITÀ «Sua figlia Beatrice era preoccupata che il padre venisse dimenticato. Ma è impossibile perché Orson Welles è costantemente moderno. Qualche anno fa ho rivisto Quarto Potere sul grande schermo al festival organizzato da Michael Moore ed improvvisamente ho realizzato che quel film mi stava colpendo in un modo inedito. Quello stesso giorno mi sono tatuato la sua firma e la sera ho ricevuto una telefonata in cui mi dicevano che sua figlia voleva incontrarmi…».

Beatrice Welles e Mark Cousins.

I DIPINTI «Anche se buona parte del suo lavoro è accessibile al pubblico, molti suoi dipinti sono rimasti sotto chiave per trent’anni. Sua figlia mi ha dato il permesso di vederli e quando sono tornato in Scozia ho prenotato un posto in più sull’aereo per portarli con me! All’inizio ero titubante all’idea di fare un film su Welles perché tanto era stato già detto. Ma quando ho visto i suoi dipinti ho capito che c’era ancora molto altro da raccontare».

Santa Claus ubriaco disegnato da Orson Welles. Foto di M. santacatterina

LA LETTERA «Il motivo per il quale ho deciso di impostare il documentario come una lettera aperta è perché non volevo realizzare l’ennesimo documentario pieno di informazioni didascaliche. Mio padre morì quando era molto giovane e quando parlai al suo funerale iniziai dicendo: “Caro papà”. Mi sono rivolto a lui come se fosse ancora vivo. Orson Welles non era il mio padre biologico ma è il mio padre filmico. Ero nervosissimo quando ho inviato il montaggio a Beatrice. Non mi ha risposto per giorni e giorni. Poi, finalmente, mi a chiamato e, piangendo, mi ha detto: “Ho appena visto il documentario. Non avevo mai visto mio padre così”».

  • Qui potete vedere il trailer de Lo sguardo di Orson Welles:

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