PESARO – Alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro arriva il genere. La svolta revisionista dell’evento più sperimentale del nostro Paese, dove l’arte cinematografica è continuamente alla ricerca di nuovi linguaggi e distanti forme espressive, tenta la riconciliazione con film e personaggi che hanno formato la tradizione e questa volta lo fa invitando un personaggio nazional popolare: Lino Banfi, ospite di un incontro in piazza con il pubblico. «Quando mi è stato chiesto di venire qui ho accettato volentieri», ha spiegato l’attore. «Attraverso tanti giovani oggi i miei film vengono ripresi e rivalutati. Sono loro che li hanno fatti diventare cult». Banfi, che del genere ha fatto il punto forte della carriera, ripercorre i successi che lo hanno reso celebre, dal lavoro con Dino Risi all’orgoglio di Checco Zalone, fino a quella proposta di Pupi Avati che rimpiange da tutta la vita.

IL MIO GENERE «Non so se i film di genere hanno aiutato il cinema italiano. So che negli anni Settanta esistevano vari film di varie tipologie e che di opere al cinema ne uscivano più o meno duecento all’anno. Ora i film sono diminuiti ed è diventato sempre più difficile convincere le persone a uscire di casa, cercare parcheggio, comprare i pop corn e il resto. Ma alla fine sempre gli stessi generi sono rimasti e, come una commedia può essere un capolavoro, può rivelarsi anche una schifezza, e così in ugual modo con un film drammatico…».

IO E LA CRITICA «Sono un buono di natura quindi per me è difficile arrabbiarmi, ma forse avrei dovuto farlo quando, ai tempi, alcuni critici che conoscevo mi rivelavano di nascosto che erano andati a vedere o, addirittura, a rivedere i miei film in sala. Lo facevano alle spalle dei colleghi o dei loro capi altrimenti sarebbero stati licenziati. Chissà, forse l’avrei fatto anche io al posto loro. Spero però che oggi le cose siano cambiate e si possa finalmente parlare più liberamente di ciò che ci piace. Non è una cosa da poco».

IO & CHECCO «Ammiro molto Checco Zalone e lui ammira molto me. Perché? Dice che ho aperto la strada alla pugliesità nel cinema. Prima di me, effettivamente, nessuno usava il dialetto pugliese per fare comicità e non c’era alcuna drammaturgia che si poggiasse su quel tipo di sonorità e parola. Ma, in fondo, credo che la mia vera fortuna sia stata quella di esser sempre riuscito a far ridere la gente, proprio grazie al mio linguaggio».

IL MIO FILM PREFERITO «Il mio film preferito? Ne dico due. Dio li fa poi li accoppia con Johnny Dorelli e Marina Suma, che girai nel 1982 con Steno, perché è quello che mi ha fatto fare un passo in avanti nella mia carriera. Poi Il commissario Lo Gatto di Dino Risi: su quel set, nel 1986, ho compiuto cinquant’anni e adesso, esattamente dopo trentatré anni, torno a Favignana per festeggiarne ottantatré. Alla fine si può dire che ho parlato davvero a tutte le fasce di pubblico e, con Un medico in famiglia, sono riuscito ad arrivare anche alle persone della terza età».

UN RIMPIANTO «Il mio rimpianto rimane Regalo di Natale di Pupi Avati. Persi un po’ di tempo nel prendere una decisione perché venivo da film in cui avevo fatto un sacco di soldi e bisognava battere il ferro finché era ancora caldo. Avrei dovuto interpretare il ruolo che poi fu di Diego Abatantuono. Ancora oggi ogni volta che con Pupi ci vediamo mi chiede se sono pentito di non aver accettato e, ora che l’ho ammesso, spero mi premi con qualche ruolo in uno dei suoi film».

BANFI O TRUMP? «Qualche giorno fa ho letto che Donald Trump è arrabbiatissimo con gli americani perché non lo amano. Allora un giornalista gli ha chiesto se avrebbe pagato uno ad uno i cittadini se fosse bastato a comprare il loro affetto. Trump ha risposto di sì. Pensa tu la vita, che strana: io invece ho l’amore di tutto il mondo e nemmeno ho dovuto pagarlo. E pensate quanto mi sento fortunato».
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