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La vita a modo suo | Lina Wertmüller, l’Oscar e la storia di una vera punk del cinema

Prima regista a essere candidata all’Oscar? Sì, ma Lina Wertmüller è stata anche molto altro…

Un ritratto di Lina Wertmüller negli anni Settanta.

ROMA – Aveva anticipato tutti, era stata la prima, aprendo una stagione che non solo non sembrava minimamente all’orizzonte, ma pareva non dovesse nemmeno cominciare. Altro che Kathryn Bigelow, Jane Campion e Chloé Zhao. Il 28 marzo del 1977, seduta al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles c’era lei, prima regista ad essere candidata all’Oscar, schiacciata in una cinquina che allineava Ingmar Bergman, Sidney Lumet, Alan J. Pakula e John G. Avildsen, che avrebbe poi vinto grazie al fenomeno Rocky. Al netto delle celebrazioni del presente, Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich in arte Lina Wertmüller fu da sempre una punk del cinema, fin dagli inizi, da quando a nemmeno trentacinque anni debuttò alla regia con I basilischi,  dopo l’esperienza come aiuto regista di Federico Fellini su 8½.

Del film scrisse anche il soggetto e la sceneggiatura, esattamente come fece due anni dopo su Questa volta parliamo di uomini, costruito attorno a Nino Manfredi che, in una scena memorabile, si lanciava in un monologo sulle donne davanti a Sophia Loren e al poster di Ieri, oggi, domani. Ma il vero capolavoro della sua rivoluzione lo fece girando un western e facendosi chiamare Nathan Wich per Il mio corpo per un poker, con Elsa Martinelli nel West in fuga da un matrimonio combinato e pronta a darsi ai furti di cavalli e di diamanti. Non era mai dove ti aspettavi che fosse, Lina Wertmüller, seguiva sempre la direzione in cui voleva andare, senza subire pressioni o condizionamenti. Titoli lunghissimi che non entravano nemmeno sul poster del film, figure maschili come Carmelo Mardocheo in Mimì metallurgico ferito nell’onore, che prima dell’ideologia pensa alle corna: «Un comunista non si comporta così». «Ma vaffanculo tu e il comunismo. Ma che comunista, cornuto sono!».

Sul set con Giancarlo Giannini e Mariangela Malato.

Ecco, prima di celebrare la grande maestra, andrebbe compresa la modernità totale di una regista che sapeva mescolare tanto Rita Pavone quanto De Filippo, che diresse non solo Giannini, ma anche Mastroianni, Tognazzi, Loren, amata perfino da Madonna (che con Guy Ritchie provò un remake inutile di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, Swept Away), finita in una canzone di Mina (scrisse il testo di Mi sei scoppiato dentro al cuore), un’artista totale che nel suo libro disse le parole definitive sulla questione di genere: «No, non si può fare questo lavoro perché si è uomo o perché si è donna. Lo si fa perché si ha talento. Questa è l’unica cosa che conta per me…».

  • VIDEO | Qui quando ritirò l’Oscar onorario:

 

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