ROMA – Era il 1984 quando Paolo e Vittorio Taviani realizzarono Kaos, adattamento per il cinema delle Novelle per un anno di Luigi Pirandello. Finito il film tornarono dal produttore con l’idea di realizzare una pellicola dedicata alla rocambolesca avventura toccata alle ceneri di Pirandello all’indomani della sua morte. Il produttore però fu molto chiaro: «Bell’idea ma non si può fare, ho finito i soldi». Poco meno di quarant’anni dopo Paolo Taviani quella storia l’ha finalmente portata sul grande schermo in Leonora Addio, unico film presentato in Concorso a Berlino 72 vincitore del Premio Fipresci, dedicandolo alla memoria dello scomparso fratello Vittorio con cui aveva vinto l’Orso d’oro nel 2012 con Cesare deve morire. Un film che si apre e si chiude con l’immagine del soffitto di un teatro, il vociare e gli applausi del pubblico.
Perché quello a cui assistiamo, ci suggerisce il regista, è uno spettacolo teatrale. Come uno di quelli allestiti dalle opere dello scrittore siciliano. Solo che questa volta il soggetto della rappresentazione è proprio lui. A novant’anni Paolo Taviani dimostra una freschezza e una lucidità registica da fare impallidire i colleghi più giovani con un film che intreccia e fonde realtà e cinema, letteratura e Storia. Ricco di sequenze del cinema neorealista italiano, da Paisà di Roberto Rossellini a Il bandito di Alberto Lattuada, Leonora Addio è anche un ritratto dell’Italia del dopoguerra, ancora confusa e incapace di rendersi conto delle conseguenze intime e materiali del conflitto appena concluso.
Lo racconta bene la sequenza centrale del film con il funzionario interpretato da un sempre ottimo Fabrizio Ferracane incaricato di scortare in treno le ceneri di Pirandello da Roma ad Agrigento all’interno di una cassa. Quel viaggio è anche la fotografia del nostro Paese visto dai finestrini di un convoglio che trasporta un’umanità variegata. E l’assurdità di quella traversata – Pirandello, morto del 1936, nel suo testamento lasciò disposizioni precise «Sia lasciata passare in silenzio la mia morte» – che da Roma, dove il regime avrebbe voluto per lui un “funerale fascista”, lo riportò nella sua città natale solo nel 1947 per poi deporre le sue ceneri – che avrebbe voluto disperse – in un monumento a lui dedicato solo nel 1962, (di)mostra tutta la stupidità dell’uomo. Ieri come oggi.
Una storia assurda e grottesca che sembra uscita dalla penna stessa di Pirandello e che Paolo Taviani racconta con quell’ironia amara che tanto sarebbe piaciuta allo scrittore siciliano a cui regala una sequenza iniziale dai contorni onirici e in soggettiva sul letto di morte. Perché Leonora Addio è anche un film che parla di vita e di morte e di quel dialogo costante che intercorre tra queste due forze misteriose. Un’incognita come quella che muove la mano di Bastianeddu, giovane protagonista de Il Chiodo, ultima novella scritta da Pirandello venti giorni prima di morire che il regista adatta per il grande schermo a chiusura del film. Una storia dolorosa e priva di quel sarcasmo che caratterizzava i suoi scritti. Un testamento letterario inconsapevole. «Il dolce della gloria non può compensare l’amaro di quanto è costata».
- Volete leggere altre Opinioni? Le trovate qui
- Paolo Taviani: «Leonora Addio, Pirandello e l’imbecillità degli esseri umani»
La video intervista a Paolo Taviani è a cura di Manuela Santacatterina:
Lascia un Commento