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L’Estate di Kikujiro | Takeshi Kitano e la celebrazione del ritorno all’infanzia

Un uomo, un bambino e quel viaggio fisico e dell’anima messo in scena da Kitano

L'Estate di Kikujiro
Una scena de L'Estate di Kikujiro

MILANO – Kikujiro è un uomo, un adulto, uno yakuza dai modi bruschi. Appena ha l’opportunità di spendere qualche soldo, corre al velodromo per scommettere sulle corse dei ciclisti. In fondo, è un attaccabrighe che si sente realizzato fregando il prossimo nelle piccole cose, come rubare un taxi o il cibo a un passante che aspetta con lui l’autobus, spacciarsi come cieco per ottenere un passaggio o lanciare sassate a un camionista che si è rifiutato di darglielo. Non va in nessuna direzione, è un disilluso ma il suo sguardo amaro, malinconico lascia intendere che prima c’era qualcosa a cui teneva, e che ora ha perso. Si offre di accompagnare il piccolo Masao, alla ricerca della madre, da Tokyo a Toyoashi durante i primi giorni d’estate, quando le famiglie più benestanti partono per il mare, mentre i solitari e i meno fortunati sono costretti a rimanere in città.

L'Estate di Kikujiro
Una scena de L’estate di Kikujiro

I primi giorni d’estate di Masao e del suo accompagnatore Kikujiro passano attraverso paesaggi accesi e colorati da una parte, desolati e sperduti dall’altra. Sono terre di nessuno quelle che fanno da sfondo al loro viaggio: campi di granoturco, terre boscose, ma anche un imponente albergo modernissimo che si erge nella desertica periferia giapponese. E, soprattutto, la bianchissima spiaggia, metafisica (un classico “topos” del cinema di Kitano), un posto dell’anima dove si ritrovano personaggi un po’ balordi, ma fantasiosi e autentici. Gli angeli azzurri e i demoni rossi sono costantemente presenti nell’immaginario del piccolo Masao e lo aiutano a esorcizzare la realtà. Il sogno è il luogo in cui scoprire che ciò che ha ferito, e quel che ha fatto male non può essere cancellato ma rielaborato dalla fantasia. Per Kitano, l’immaginazione è un punto d’arrivo, il contenuto della vita.

Kikujiro e Masao in una scena de L’Estate di Kikujiro

L’Estate di Kikujiro è un film sulle delusioni, e sul gioco come salvezza. La vicenda centrale si chiude a metà pellicola per poi iniziare una seconda – quella del ritorno a Tokyo – parallela alla prima. Andata – fine – ritorno. Se il percorso dei due protagonisti è caratterizzato inizialmente da un insieme di disavventure dovute alla goffaggine del ciarlatano Kikujiro, in seguito si trasforma in una  celebrazione del ritorno all’infanzia come unica possibilità per fuggire alle sofferenze e al dolore. Il grande Kikujiro non è la guida che conduce il piccolo Masao nell’approccio all’età adulta, ma è quest’ultimo che fa regredire il primo all’innocenza dell’infanzia.

L'Estate di Kikujiro
Kikujiro e il piccolo Masao

Per consolare il bambino dopo l’enorme delusione che ha sofferto, grazie anche all’aiuto di qualche strambo individuo incontrato per strada, il ritorno di Kikujiro è una continua invenzione di giochi, che rappresentano una forma di protesta degli sconfitti contro le ingiustizie della vita. Per merito della creatività, del genio, del divertimento, il mondo può tornare a essere un luogo di meraviglia e di stupore. Non è un caso che Kikujiro/Kitano coinvolga persone ai margini della società: un sedicente poeta-filosofo senza dimora e due motociclisti metallari ribattezzati “il ciccione” e “il pelato”. E non importa che per tutto il viaggio Masao non sia stato a conoscenza del nome di chi è riuscito ad alleviare le sue lacrime. Quello che conta è che Kikujiro/Kitano sia riuscito nell’impresa eroica di farci commuovere grazie alla sincerità e al pudore, nonostante nelle nostre vite non ci sia mai stato nessuno presente, in grado di insegnarcelo.

 

 

 

 

 

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