ROMA – L’appuntamento è su Zoom. Stefano Lodovichi arriva con qualche minuto di ritardo, ancora con la mascherina, perché impegnato con le riprese di Christian, la serie Sky Original in cui dirige Edoardo Pesce in un crime drama soprannaturale. L’attore è anche co-protagonista, insieme a Camilla Filippi e Guido Caprino, de La Stanza, thriller psicologico disponibile su Amazon Prime dal 4 gennaio. «Anche il film è stato scritto e pensato su Zoom», racconta il regista, «Il nostro è stato uno dei primi set a riprendere dopo il lockdown. Lo abbiamo girato in soli diciassette giorni». La storia? Quella di Stella (Filippi) che, la mattina in cui decide di togliersi la vita, sente bussare alla porta da uno sconosciuto (Caprino) che sembra conoscerla fin troppo bene. Quando poi in casa arriva anche Sandro (Pesce), l’uomo che ha spezzato il cuore di Stella, una situazione già complicata si trasforma rapidamente in caos: Giulio, lo sconosciuto, sembra intenzionato a portare alla luce tutti i segreti della casa…
LA GENESI «Il film è nato come documentario sugli hikikomori, i ragazzi chiusi in casa. Ci ho lavorato per un anno ma non sono riuscito a portarlo avanti perché è un tema molto complesso e avevo altri lavori in contemporanea. Con la produzione lo abbiamo trasformato in un film di finzione, scritto con Francesco Agostini e Filippo Gili. La stanza nasce dalla voglia di raccontare una famiglia di oggi, raccontare i rapporti genitori/figli e provare a capire quale potesse essere la difficoltà di diventare adulto e confrontarsi con un genitore».

IL CONFRONTO «Gli hikikomori mi hanno dato la possibilità di approfondire il tema della reclusione volontaria. Il non riuscire cioè a confrontarsi con il mondo esterno, creandoti una vita alternativa in cui ti fai un’idea di te stesso e quando vai a scontrarsi con la realtà ne esci a pezzi. È un mondo affascinante che non può esistere però senza pensare al rapporto con il mondo genitoriale o scolastico. Da qualche anno ho una famiglia e ho iniziato a ricoprire un ruolo da figura paterna, contribuire alla loro crescita. Prima che arrivassi in questa dimensione famigliare avevo un atteggiamento mentale ancora da figlio. Ma quando ho iniziato a confrontarmi con loro ho rivisto la mia dinamica di figlio e che le accuse ai miei genitori andavano rilette. Questo significa perdonarli e confrontarsi da adulto con altri adulti».

IL CINEMA D’INTRATTENIMENTO «Sono cresciuto con mi madre che mi faceva vedere la commedia all’italiana e mio padre con cui guardavo il cinema d’azione hollywoodiano, tra Stallone, Willis e Schwarzenegger. Ne sono uscito io: un mezzo Frankenstein come tanti altri registi miei coetanei. Ho voglia di fare un cinema che mi diverta, commuovi ed emozioni. Sono molto legato al cinema d’intrattenimento americano, a Steven Spielberg e a quei personaggi che scoprono storie e si emozionano. Nel caso de La stanza il cinema di genere mi permette di muovermi in uno schema in cui posso esplorare e credo che il film possa essere un ponte tra il cinema autoriale e il cinema d’intrattenimento».

LA CASA «L’idea di raccontare una casa che fosse un po’ isolata quasi ci obbligava a lavorare in uno spazio indipendente, giocando con i riferimenti. La casa del film è stata disegnata e ricreata negli studi Videa dallo scenografo Max Sturiale e l’art director Adriano Cattaneo, dandomi la possibilità di caratterizzare gli ambienti in modo simbolico e tematico, inserendo dettagli e riferimenti artistici europei. E poi ci sono i riferimenti ai modelli classici del cinema, da Psycho a Shining fino ai film di M. Night Shyamalan. La casa al cinema è un archetipo, un luogo esemplare nel quale entrare per scoprire i segreti, gli incubi e le inquietudini di chi la abita. Mi intrigava farlo di giorno, perché se è vero che gli incubi arrivano di notte, il problema è quando rimangono con noi anche di giorno».
Qui la nostra video intervista a Stefano Lodovichi:
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