ROMA – Da quando ha fatto assolvere un assassino recidivo, l’avvocato Jean Monier (Daniel Auteuil) non accetta più casi di giustizia penale. L’incontro con Nicolas Milik (Grégory Gadebois), padre di famiglia accusato dell’omicidio della moglie, lo tocca profondamente e fa vacillare le sue certezze. Convinto dell’innocenza del suo cliente, è disposto a tutto pur di fargli vincere il processo in corte d’assise, ritrovando in questo modo il senso della sua vocazione. Ecco La misura del dubbio, quinta regia del veterano del cinema francese Daniel Auteuil con protagonisti, oltre a lui, Grégory Gadebois, Sidse Babett Knudsen e Alice Belaïdi, al cinema con BiM Distribuzione dal 19 settembre.
Un film chiacchierato, La misura del dubbio, presentato a Cannes 77 nella sezione Special Screenings e già arrivato nelle sale francesi lo scorso 11 settembre, eppure nato per caso. Da un’intuizione dell’executive Nelly Auteuil (naturalmente figlia di Daniel e dell’attrice Emmanuelle Beart) co-fondatrice della società di produzione Zazi Films assieme a Hugo Gélin e Danièle Delorme, specializzata in diritto della proprietà artistica. Nel corso dei suoi studi accademici la Auteuil entrò in contatto con Le Livre di Maître Mô, una raccolta di casi giudiziari dell’avvocato e blogger Jean-Yves Moyart. Tra questi uno, in particolare, attirò l’attenzione del padre tanto da fargli esclamare: «Mi sono detto che la realtà aveva molta più immaginazione che finzione».
Da qui lo sviluppo de La misura del dubbio, descritto da Auteuil come: «Un film crepuscolare ma che fa venir voglia di sperare», sperare fino alla fine che sia il bene a trionfare, che sia tutto un imbroglio, che il suo assistito sia stato semplicemente incastrato. E sembra perfino essere così tra moventi lacunosi e prove circostanziali. È la narrazione, però, a decidere un fato diverso per i suoi protagonisti nel suo procedere per digressioni temporali con cui svelare, passo passo, il mistero dietro un delitto spaventoso, freddo, lucido e calcolato. Ed ecco, quindi, la vera forza del film di Auteuil.
Perché La misura del dubbio, nelle sue forme filmiche di solido legal drama inciso dall’Auteuil regista di soluzioni d’immagine ricercate, schiacciate e claustrofobiche nei suoi densi primi e primissimi piani (un po’ troppo al servizio dell’interprete principe nda) ma fluide nei suoi movimenti, racconta, si, dell’etica lavorativa dell’avvocatura, del crepuscolo dell’uomo di giustizia e delle insidie di un mestiere che a volte spinge uomini perbene a mettere da parte il buonsenso, ma anche di qualcos’altro. Quello di Auteuil è un film sulle maschere e le zone d’ombra della vita e sugli orrori celati di silenziose tragedie familiari da cronaca nera che scorrono dinanzi a noi senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
Un film doloroso, La misura del dubbio, bellissimo – a metà tra Il Verdetto di Sidney Lumet e Anatomia di una Caduta di Justine Triet – che cattura lo spettatore e scorre in armonia e che ci ricorda l’importanza di una grande massima attribuita al poeta e scrittore francese Charles Baudelaire di cui, siamo certi, Auteuil ha tratto ispirazione: «Chi non beve vino ha qualcosa da nascondere» e chi beve solo latte è certamente qualcuno da tenere d’occhio. Da non perdere.
- HOT CORN TV | La misura del dubbio, il trailer:
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