MILANO – Quanti neolaureati in legge si vorrebbero sentire come Tom Cruise nella prima mezz’ora de Il socio: una donna bellissima al proprio fianco (Jeanne Tripplehorn, che purtroppo abbiamo perso di vista, confinata in ruoli di serie tv minori), una brillante carriera da avvocato che sta per nascere dopo gli eccellenti voti ottenuti a Harvard, l’assunzione in uno degli studi legali più lussuosi degli Stati Uniti e un conto in banca già ampiamente soddisfacente. E chissà per quanti neolaureati in legge e praticanti avvocati le restanti due ore de Il socio (lo trovate su CHILI) sono quell’incubo in cui non vorrebbero mai ritrovarsi: scoprire che quello stesso studio legale che ti ricopre di soldi in realtà non è che una copertura di traffici di denaro sporco e riciclaggio, che opera in maniera sistematica per conto della mafia di Chicago.

Il giovane ed ex rampante Mitch McDeere (Cruise, appunto) verrà presto a conoscenza che due colleghi dello stesso ufficio non troppo più vecchi di lui sono appena stati uccisi: da quel momento, ha inizio il grande dilemma morale che interessa John Grisham: la scelta del protagonista tra una complicità criminale, che gli può permettere la sopravvivenza, e la collaborazione con l’FBI, mettendo così a repentaglio non solo la propria solidità professionale, ma anche quella coniugale, oltre ovviamente a tutti i rischi relativi a chi agisce da “talpa” all’interno di una struttura delinquenziale.

Anche a venticinque anni di distanza, il film di Sydney Pollack (un maestro, Corvo rosso non avrai il mio scalpo, I tre giorni del Condor) resta intrattenimento di altissima scuola, un legal thriller tratto da un libro di Grisham del 1991, ambientato a Memphis (e con una grandissima colonna sonora, firmata da Dave Grusin) che si poggia su uno script perfetto (nel 2012 ne hanno fatto anche una serie tv con Josh Lucas) e su alcuni dei grandi temi che appartengono al mestiere dell’avvocato: le sottili linee che separano giusto e sbagliato, successo e legalità. Nel 1993 Cruise era diventato ormai adulto, e cominciava ad abbandonare la sua gagliardia da playboy ventenne degli anni Ottanta per esplorare personaggi più controversi e problematici.

Non a caso, i duetti di Cruise con l’ambiguo Gene Hackman sono forse i momenti migliori del film, quelli dove la narrazione lascia respirare di più i caratteri: da una parte, la matricola che si scontra con la sporcizia di un mondo che non s’aspettava; dall’altra, il professionista a fine carriera, che ha assunto quel cinismo necessario per affermarsi, sacrificando correttezza e sentimenti. Il socio non è un capolavoro ma assomiglia a una specie de Il giovane Holden che scopre corruzione e sangue: la fine delle illusioni è la medesima.
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Qui un assaggio della colonna sonora firmata da Dave Grusin per Il socio:
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