ROMA – Ogni rivoluzione passa attraverso momenti emblematici, capaci di deviare il flusso della corrente, fino a rompere gli argini della storia. E, tra le tante battaglie che sono ancora (troppo) lontane da essere vinte, ce n’è una che ha avuto una svolta potente. Era il 20 settembre del 1973 quando al Reliant Astrodome di Houston, Texas, un’occhialuta ragazza dalla chioma nera, vestita di paillettes azzurre – quasi come Elvis, sì – stringeva in pugno una racchetta di legno, respingendo, set dopo set, un mondo tennistico, sportivo e sociale, gretto, misogino e maschilista. Lei era (ed è) Billie Jean King, tennista niente male, sei volte campionessa a Wimbledon, mentre dall’altra parte della rete c’era il ritirato (e caduto in disgrazia, complice il vizio del gioco), Bobby Riggs, tennista eccellente ma spesso sottovalutato.

Di quell’incontro, entrato nella storia, i registi (moglie e marito) Jonathan Dayton e Valerie Farias, a undici anni dal folgorante esordio con Little Miss Sunshine (in mezzo Ruby Sparks, 2012), hanno girato un film: La battaglia dei sessi, perfetto per la nostra rubrica di cinema e sport Sport Corn (qui trovate le altre puntate). Sceneggiato da Simone Beaufoy (Oscar per The Millionaire nel 2009), il film – che trovate in streaming in flat su Disney+ – ruota intorno all’incredibile personaggio di Billie, interpretata con maestria da Emma Stone (per cui ha ricevuto la nomination ai Globes). Billie, tenace, audace, coraggiosa e letteralmente dipendente dal tennis, lotta per l’uguaglianza femminile e per la sua libertà sessuale, avendo instaurato una storia con la parrucchiera Marilyn Barnett (Andrea Riseborough, altro motivo per cui ri-vedere il film).

Inaspettatamente, trova proprio nello spirito (all’apparenza) machista di Bobby Riggs – con il volto di Steve Carell, sempre sopraffino, anche lui nominato ai Globe ma che forse avrebbe meritato di concorrere anche per l’Oscar – l’avversario adatto, accettando il guanto di sfida lanciatogli da lui: una sfida donna contro uomo, fino all’ultimo punto. Insomma, mentre alla Casa Bianca sedeva Richard Nixon ed Elton John – amico intimo di Billie Jean, tanto da dedicarle una canzone, Philadelphia Freedom – passava in radio con Rocket Man (che ritroviamo in una delle scene più belle del film), le pagine della ribellione femminile venivano riempite d’inchiostro incancellabile, per merito di una donna in grado di rigettare, usando per arma una racchetta e una pallina gialla, anni e anni di stupidità maschilista.

E il film, sportivo e comico, drammatico e potente, dai giusti colori e dalla buonissima costruzione, concede spazio alla vita pubblica quanto a quella privata dei due personaggi – entrambi complessi, perseguitati, oscuri – ma è anche un rimando a quello che continua ad accadere oggi, in un mondo che, per l’affermazione della donna, deve ancora imparare molto. La strada è lunga e impervia, ma come cantava proprio Elton John in Philadelphia Freedom, «But the times have changed, the less I say the more my work gets done». E allora, non ci resta che continuare a lottare insieme. Come Billie e Bobby.
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