ROMA – Siamo nel marzo del 2022. Da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. Il Paese che si distingue per tempestività e generosità è la Polonia, lo stesso Paese però che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati. Una striscia di terra che corre lungo il confine bielorusso, chiamata zona rossa, impedisce a chiunque di avvicinarsi e vedere la costruzione del muro, il protagonista della storia raccontata. Parte da qui MUR, ambizioso esordio alla regia di Kasia Smutniak, al tempo stesso un diario e un’opera di denuncia. Il documentario, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione non competitiva Proiezioni Speciali, arriva al cinema con Fandango.

SPETTATORI DEL MALE – «Mi sono ritrovata a essere spettatrice di un inizio di qualcosa. La genesi del male. Di un conflitto, un muro. Quell’inizio era la cosa che più mi interessava in termini umani. Cosa scatta nella mente dal vedere una foto sul cellulare al compiere un’azione? L’idea che avevamo per MUR era togliere la tragedia dal contesto per renderla per sé. Le persone che racconto nel film sono persone normali. Il punto di vista di una ragazza con il proprio sguardo, la propria voce voce, dove chi guarda diventa lei nella soggettiva, perché è più facile identificarsi con qualcuno che non capisce: cosa sta succedendo? Perché indignarsi di fronte ad un’ingiustizia ovvia?».

LA MEMORIA – «Non so se era chiaro fin dall’inizio ma io ero attratta dal fatto di poter mettere in confronto, in MUR, il presente e il passato tramite la storia della mia famiglia. Non che sia particolarmente interessante, ma in qualche modo è legata a dei luoghi e quei luoghi hanno una memoria, come il Ghetto di Łódź (noto anche come Ghetto di Litzmannstadt nda), oppure la casa di mia nonna in cui non entravo da vent’anni. E speravo davvero, in qualche maniera, di unirli passato e presente. Credo che sia impossibile anche solo capire certi conflitti, o certe crisi, senza avere un quadro completo di ciò che succede. Tipo quello che sta accadendo nei conflitti in gioco in questo periodo».

PAURA – «Ho avuto paura ma chi se ne frega. La mia paura non è paragonabile a chi sta vivendo quel qualcosa lì. Avevo paura di trovarmi solo in una situazione in cui sarei stata costretta a scegliere, come i protagonisti di MUR. Di trovarmi in una situazione decisiva. Non sono forte, non sono un supereroe che può immagazzinare tante cose e farsene carico, ma ho voluto raccontare questa cosa, questo stato d’animo. Ho cercato di essere sincera. Viviamo ogni giorno in un contesto dove la nostra vita è una vita normale, che procede tranquilla. Guardi i gatti sui social, stron*ate varie, ti distrai insomma. Poi apri il giornale, ti si ferma il respiro e vieni trasportato in una storia che come esseri umani normali non siamo in grado di contenere».

L’INFORMAZIONE – «Questi sono i nostri tempi, è vero, ma sono anche quelli che ci permettono di accedere all’informazione in prima persona. Scegliamo noi cosa guardare e chi ascoltare. Le tragedie accadono da sempre ma mai come adesso siamo spettatori di queste tragedie. Questo fa di noi una persona diversa, attiva, una persona che può sapere. Ecco, volevo raccontare le conseguenze di questa situazione e delle persone che vivono in quella zona, dal punto di vista di chi vuol fare semplicemente qualcosa di diverso e aiutare facendo di tutto per portare un pasto caldo nel bosco o più semplicemente un sorriso. E non parlo nemmeno di salvare le vite perché è chiaro che è questo quello che fanno».

MUR – «Volevo concentrarmi su qualcosa che conoscevo. Non un incontro diretto con i rifugiarti ma il dolore vero. Sono la prima e chiedere un confronto. I film questi lo danno fare. Mi piacerebbe che gli spettatori si soffermassero sui tempi in cui viviamo è facessero un confronto con il passato e i tempi vissuti. MUR vuol dire muro. I muri sono una fotografia dei tempi in cui viviamo. Le barriere sono tutte intorno a noi».
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