ROMA – Notte fonda. Sull’Isla Nublar un gruppo di scienziati, biologi e matematici si ritrovano ad ispezionare l’idea folle di un miliardario. Qualcosa però è andato storto, lo si percepisce nell’aria notturna pervasa da una pioggia fitta che non accenna a smettere. Le jeep su cui si muovono si fermano d’improvviso, senza una spiegazione. Poi, il silenzio. Solo la pioggia e echi lontani, impercettibili. Due bicchieri d’acqua sono posizionati in una delle macchine, quella con i bambini dentro (già, sembrava un parco giochi…), spaventati da un mondo esterno che, fino a quel momento, li aveva ammaliati. L’acqua comincia a vibrare, con un ritmo sempre più ravvicinato. Ecco, ognuno di noi ha in mente una scena precisa di Jurassic Park, film costruito attraverso un collage di momenti oscillanti fra il magico e la violenza più sanguinosa. Questo perché lo stupore sui volti dei suoi protagonisti si proietta anche sugli spettatori, partecipi, in qualche modo, di quello che sta avvenendo. Si tratta di uno dei più grandi pregi del cinema di Steven Spielberg, ossia costruire l’azione principale in modo tale che il pubblico ne sia complice. Da ciò questo esempio: il fatto che per ognuno di noi esista una scena precisa legata a Jurassic Park.
Il cinema di Spielberg, pur partendo dalle luci della New Hollywood, da sempre si è distinto per un approccio molto vicino ai canoni classici del cinema classico, pur distaccandosene nella resa complessiva e nella visione tutta personale. Si tratta di un cinema molto più “di cuore” che non di testa, che ha saputo amalgamarsi perfettamente ai gusti, desideri e ai sogni del pubblico. In questo stesso approccio, ritroviamo tutto l’amore immortale che pellicole come Jurassic Park hanno suscitato e continuano a suscitare negli anni, fuse a una fascinazione divenuta ben presto capitale e investimento successivo. E le generazioni precedenti agli anni Novanta hanno un attaccamento particolare con almeno una delle sue storie. Più in generale, Jurassic Park è tratto dall’omonimo libro di Michael Crichton del 1990. In realtà Spielberg venne messo al corrente di questa storia un anno prima della pubblicazione ufficiale, nel 1989. L’idea iniziale di Crichton era quella di scrivere una sceneggiatura al cui centro ci sarebbe stata la storia di un ragazzo, uno studente universitario, in grado di ricreare dinosauri. Questa visione venne ben presto ampliata nel romanzo che tutti conosciamo, complici l’amore dello scrittore per la clonazione e per i dinosauri, e la sua attenzione verso l’ingegneria genetica. Ed è bene ricordare anche che nell’89 lo scrittore e Spielberg stavano lavorando alla sceneggiatura di una storia che in seguito si sarebbe trasformata in E.R. Medici in prima linea.
Ma la storia di Jurassic Park aveva catturato l’attenzione dell’ambiente cinematografico, Crichton prima ancora della sua pubblicazione ufficiale chiese un compenso alle varie case di produzione di 1.5 milioni di dollari seguiti da una percentuale sui guadagni in sala. Molti avevano posato i loro occhi sul libro (Columbia Pictures, Warner Bros, Fox) ma alla fine furono gli Universal Studios ad assicurarsi il tutto. All’epoca Spielberg era impegnato prima di tutto nella realizzazione di Hook Capitan Uncino, e aveva messo in conto di realizzare un nuovo film molto vicino alle sue personali origini: Schindler’s List. Un primo adattamento del libro venne affidato proprio al suo stesso autore, e mentre la stesura di base cominciava a vedere la luce Steven dovette mettere da parte il progetto legato all’Olocausto per dedicarsi totalmente a Jurassic Park. Una curiosità: non tutti sanno che, oltre ai vari professionisti di settore, le riprese del film vennero supervisionate da Jack Horner, paleontologo americano famoso per aver dimostrato l’attaccamento materno dei dinosauri alla propria prole. Come supervisore scientifico del progetto il suo incarico principale era quello di rendere più credibili e realistici possibili i dinosauri in scena, non tanto quanto mostri famelici e sanguinari, quanto come animali complessi dalle caratteristiche sfaccettate e credibili.
Molte delle sue idee influirono sulla rappresentazione finale all’interno della pellicola, risultando anche egli come prima ispirazione di uno dei protagonisti: il paleontologo Alan Grant (Sam Neil), appunto. Parlando quindi dei dinosauri, e delle varie specie che vediamo nel film ci troviamo davanti a un lavoro relativo e legato in linea diretta con il periodo di uscita. Questo implica delle imperfezioni e errori con le varie scelte nella rappresentazione generale, dati i progressi raggiunti nel campo della paleontologia in questi anni. Uno degli errori maggiormente riconosciuti risiede nella conformazione dei Velociraptor. In Jurassic Park questi vengono mostrati senza alcuna piuma lungo il corpo e con gli arti posizionati in modo sbagliato. L’errata lettura di questa particolare specie giurassica è da rintracciare anche nella gestazione del romanzo d’ispirazione. Crichton stesso rivelò di aver conformato i suoi Velociraptor seguendo le forme di un’altra specie (il Deinonychus antirrhopus), cambiandole di nome per via della sonorità più “accattivante” e “drammatica”. Un’altra scena che destò scalpore e dubbi fu quella in cui si vede un T-Rex inseguire una jeep nella giungla, seguita da ulteriori aggiornamenti accademici legati anche all’animale in questione.
Se nel film viene suggerito che questo gigante potesse raggiungere una velocità di circa 32 miglia all’ora, in seguito venne smentito dalle ipotesi secondo cui la velocità reale oscillasse fra i 13 e i 25 miglia orari. Un’altra caratteristica confutata in seguito fu quella legata alla vista del Tyrannosaurus, non costruita sul movimento intorno loro, ma “binoculare” come potrebbe essere quella di un rapace. Un ultimo elemento divenuto leggenda negli anni è il loro ruggito. Nella pellicola si tratta di un suono ad altissima frequenza che esplode nell’aria restandoti inevitabilmente ancorato alla memoria. Il tutto derivò dalla commistione di più versi provenienti da differenti tipologie animali, come gli elefanti, gli alligatori e le tigri. Gli esperti hanno invece affermato che questi esseri preistorici presumibilmente comunicassero attraverso suoni di bassissima frequenza, molto simili a quelli che emettono gli alligatori. Una delle cose che ovviamente tutti ricordano di Jurassic Park è il parco stesso. Fra luoghi iconici e scorci leggendari (la scena in cui i protagonisti attraversano per la prima volta il grande cancello d’ingresso ne è un esempio perfettamente calzante) l’attenzione a ciò che circonda i protagonisti resta una costante di tutta la pellicola, anche perché la vera meraviglia deriva proprio dal contesto in cui ci si muove.
Il film è stato alternando le varie riprese tra l’isola Kaua’i (nelle Hawaii), i vari stage della Universal e il Red Rock Canyon in Montana. Nel corso delle riprese sull’isola l’uragano Iniki si abbatté con violenza e Spielberg ne approfittò, pur conscio del grande pericolo, per sfruttare gli elementi atmosferici fondamentali all’interno del film. Altro merito di Jurassic Park, fra le altre cose, fu quello di sfruttare pienamente le possibilità di una “nascente” computer grafica. Inizialmente Spielberg e la troupe pensarono all’animazione in stop-motion per rappresentare i dinosauri (la rappresentazione di questi fu una delle problematiche principali nel making of del film). In relazione a ciò venne assunto Phil Tipett (celebre animatore del settore cinematografico), al fianco della Industrial Light & Magic. Fu proprio partendo da questa che il film trovò la sua strada definitiva. La CGI si rivelò fin dall’inizio molto più realistica e versatile rispetto alla stop-motion, al punto da diventare uno dei mezzi di espressione preminente dei dinosauri (la computer grafica venne utilizzata anche per realizzare altri piccoli elementi in scena, specialmente in post produzione). Coloro che hanno letto Jurassic Park sono perfettamente consci delle differenze che il film presenta rispetto al libro. Tutti i cambiamenti apportati dalla pellicola sono partiti inizialmente dall’autore per poi essere incisi definitivamente e modellati da David Koep nella sceneggiatura. Alcuni tagli e modifiche vennero apportati per richiesta del regista (come l’eliminazione dell’attacco a un bambino), altre scene vennero cancellate per questioni di budget, e alcuni “rimodellamenti” dei personaggi per finalità comunicative.
Un’esempio l’abbiamo col rapporto che Grant costruisce coi bambini. Nel film lo vediamo al principio scostante, per poi cambiare. Questa scelta venne presa in funzione di una maturazione più evidente. Jurassic Park, comunque, non resta una semplice storia creepy, le tematiche in atto variano fra la megalomania dell’essere umano che si sostituisce a Dio, all’inseguimento folle dei propri sogni, alla maturazione in merito a particolari circostanze, alle piccole difficoltà nel relazionarsi con gli altri. Tutto ciò viene calibrato alla perfezione sia dalle immagini che dalla colonna sonora leggendaria firmata John Williams. Inutile sottolineare il successo inaudito che fece Jurassic Park alla sua uscita, segnando uno dei maggiori incassi nella storia del cinema (50 milioni di dollari nel primo weekend, 81 milioni di dollari nella prima settimana e 920 milioni di dollari nell’anno. Nel 2013 raggiunse, con le successive uscite nei vari formati, il miliardo di dollari). I soldi forse restano la dimostrazione più diretta del valore di questa pellicola, che segnò non soltanto la generazione di fine Millennio, ma anche tutte le successive, arrivando ad un pubblico sempre nuovo, coinvolto grazie ai vari sequel. Del resto, come con tante altre opere di Spielberg ne derivò una vera e propria “cultura”, una nuova attenzione tutta dedicata ai dinosauri, a dimostrazione dell’appeal che il linguaggio di questo regista ha conservato di progetto in progetto. Un sogno a occhi aperti, dunque, per un uomo che ha deciso di raccontare qualcosa a un pubblico che come in passato non era a conoscenza dei propri reconditi desideri, e ora quanto mai tangibili sul grande schermo.
E qui il trailer originale:
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