VEENZIA – Camicia bianca e volto rilassato, Joaquin Phoenix entra in conferenza stampa sulla difensiva (come sempre) poi inizia a sciogliersi e a fare battute: «La risposta a questa domanda è semplice: no». A fianco di Todd Phillips, un regista in dieci anni capace di passare da Una notte da leoni a questo Joker, Phoenix non regala molte risposte riguardo al suo personaggio, ma mentre il regista evita subito discorsi DC vs Marvel, l’attore ci tiene a tagliare subito i ponti con il passato: nessun riferimento alle interpretazioni di Jack Nicholson, Heath Ledger o Jared Leto. Questo è un altro Joker, completamente un’altra cosa.
IL MIO JOKER – «L’approccio al personaggio è totalmente nostro, mio e di Todd. Non mi sono riferito a nessuno o ad altre cose già fatte in passato una volta sul set. Questo Joker è semplicemente nostro, parte da zero. Senza dubbio è un personaggio difficile da definire. Ho cercato di carpire alcuni lati della sua personalità poi facevo dei passi indietro perché volevo mantenere il mistero. Sul set, fino all’ultimo, abbiamo continuato a scoprire aspetti nuovi del personaggio. Non mi era mai accaduto prima».
LA PERDITA – «Per trasformarmi in Joker il primo passo è stato affrontare il tema della perdita. E di fatto ho anche perso molto peso, un aspetto che inevitabilmente colpisce anche dal punto di vista psicologico. Ho cominciato parlando molto con Todd, abbiamo letto un libro che suddivide i diversi tipi di personalità e le loro azioni. Poi, passo dopo passo, ci sono entrato dentro, ma non volevo che uno psichiatra potesse identificare le sue problematiche, volevamo mantenere libertà di cui avevamo bisogno. All’inizio mi ha aiutato un testo inviatomi da Todd. Improvvisamente da un secondo all’altro ho iniziato a capirlo».
LA RISATA – «Ancor prima di farmi leggere la sceneggiatura, Todd mi ha parlato di cosa voleva, mi ha fatto vedere dei video. Poi sono partito dalla risata: la risata di Joker è quasi dolorosa, come se fosse un modo che il personaggio di estraniarsi da se stesso. Non credevo di essere in grado di farlo. Ho provato a lavorare da solo ma poi ho chiamato Todd per fare un’audizione per il mio riso. Mi ci è voluto molto tempo e molti tentativi sbagliati. Mi ha aiutato anche la colonna sonora firmata da Hildur Guðnadóttir: una scena l’abbiamo costruita io e Todd partendo da una sua composizione».
LA LUCE – «Un personaggio tormentato? A me invece piaceva la sua luce, non solo il suo dolore. Ero affascinato dalla lotta interiore per trovare calore e amore. Era la parte che mi interessava di più del ruolo e credevo andasse sviluppata. Ho lavorato su Joker per otto mesi perché è molte cose messe insieme. Il suo prima e dopo sono molto diversi. All’inizio delle riprese era un altro Joker, il personaggio si è evoluto come mai avevo avuto modo di sperimentare prima».
- Joaquin Phoenix e l’arte di fare la differenza
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