ROMA – Completo blu elettrico e lunghi capelli rossi. Jessica Chastain ha ufficialmente aperto la 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma presentando Gli occhi di Tammy Faye, il film diretto da Michael Showalter che racconta la storia vera della coppia di telepredicatori, Tammy Fey e Jim Bakker (Andrew Garfield), che negli anni Ottanta costruirono un impero fatto di reti televisive, donazioni dei fedeli e parchi a tema cristiani. L’attrice – qui anche in veste di produttrice – ha raccontato come il suo approccio all’interpretazione della Faye fosse privo di quel cinismo che ha contraddistinto la stampa dell’epoca e focalizzato, invece, a restituire un ritratto autentico di una donna che, per tutta la vita, ha cercato di riempire il vuoto di un’infanzia trascorsa senza sentirsi amata.
TAMMY FAEY «Cosa conoscevo di Tammy prima di iniziare a lavorare al film? Solo gli scandali, le copertine dei giornali. Poi, nel 2012, ho iniziato a documentarmi ed ho scoperto la vera storia sua e del marito. Ho provato un grande entusiasmo che ho voluto condividere con gli altri raccontando questa storia».
L’ACCETTAZIONE «Credo che Tammy ci credesse davvero in qualcosa di più grande che ci lega tutti. Aveva una forte fede, pensava che chiudendo gli occhi e pregando quello che sentiva nella sua testa fosse lo spirito di Dio. Non la giudico, credo fosse sincera nella sua fede. Per lei era un’ossessione che tutti si sentissero amati. Era cresciuta in una chiesa pentacostale conservatrice e quando i suoi genitori si separarono diventò l’incarnazione della vergogna. Non si sentiva amata. Voleva che tutti provassero amore proprio perché lei non l’aveva sentito crescendo».
LA CONNESSIONE «Ho amato la sua apertura al mondo. In tutta la mia ricerca ho sentito che la sua risata fosse molto vicina al pianto, non aveva confini. Era capace di creare legami, stabilire una connessione con altre persone. Questo per un’attrice è un elemento importante, positivo ma, al tempo stesso, nella recitazione ti senti vulnerabile, esposta…».
LA PARITÀ «Credeva che gli esseri umani fossero tutti uguali, diceva che siamo tutti fatti della stessa polvere e che Dio non crea rifiuti. Non ritengo fosse sulla strada del femminismo. Era una donna infantile, ingenua che si sedeva al tavolo degli uomini perché non pensava al fatto di non essere voluta. Si chiedeva: “Come possiamo servire meglio Dio?”. Voleva difendere la disuguaglianza in favore della parità di tutti gli individui».
I FIGLI «Quando ho iniziato a lavorare al film ho contattato subito i suoi figli. Ero nervosa all’idea di parlare con loro ma quando interpreto una persona reale e non posso confrontarmi con lei per me è parlare con chi può aiutarmi a capirla. Questi ragazzi sono cresciuti in un ambiente in cui non avevano privacy. C’è stato un periodo in cui avere quel cognome significava avere una cicatrice, come se portassero un marchio. Volevo fargli sapere che non volevo ripetere il cinismo con il quale gli altri l’avevano raccontata prima di me. Volevo sfidare le aspettative. A Hollywood vengono realizzati spesso film che prendono in giro la religione. Ma non era la nostra intenzione. I nostri sono stati passi piccoli per fare in modo che si fidassero di noi».
JIM BAKKER «Non l’ho mai contattato. Ho letto il libro che ha scritto in prigione e mi è bastato. Chi lo ha letto sa che ha ha avuto tante vite, volevo che lei fosse riconosciuta per quello che era a prescindere da lui e volevo guardare lui attraverso gli occhi di lei».
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