ROMA – Avevamo incontrato Jacopo Olmo Antinori alla Festa di Roma al nostro Hot Corner (qui), poi lo abbiamo rivisto via Zoom (qui) e al nostro Hot Corn Summer Fest all’Orto Botanico lo scorso giugno. Così abbiamo deciso di sottoporgli il nostro gustoso questionario Io & Il Cinema (trovate tutte le puntate qui). Così, dopo Bruno Dumont, ecco che a cimentarsi con le nostre domande è proprio lui che, dal debutto nel 2002 diretto da Bernardo Bertolucci in Io e te (che trovate in streaming su CHILI qui), di strada ne ha fatta parecchia. Vediamo come ha risposto Jacopo Olmo Antinori.
IL PRIMO FILM CHE MI HA FOLGORATO – «Il primo ricordo in assoluto che ho di una sala cinematografica risale all’inizio del 2002, credo. Avevo poco più di quattro anni e mia madre e mio nonno mi portarono a vedere La Compagnia dell’Anello, il primo film della trilogia de Il Signore degli Anelli. Durai più o meno venti minuti: appena apparsi i Nazgul – i cavalieri neri che inseguono Frodo a caccia dell’anello – mi spaventai talmente da scappare via. Vale come colpo di fulmine, no? Il film mi è rimasto talmente impresso che oggi, a quasi venti anni di distanza, La Compagnia dell’Anno è il mio preferito tra i film della saga, una delle opere che preferisco e amo di più in assoluto. Tra tutte le cose che potrei dire sulla grandezza di questo film (e dei suoi due seguiti), la cosa che più di tutte mi esalta è il fatto che La Compagnia dell’Anello è un film sulla nobiltà del sentimento di amicizia. La scena finale, in cui Samwise Gamgee si rifiuta di lasciar andare Frodo da solo verso Mordor, e decide di accompagnarlo fino in fondo e condividere il suo destino è semplicemente sublime. Piango tutte le sante volte che la vedo».
L’ATTORE O L’ATTRICE DI CUI VEDO QUALSIASI FILM – «Non ho mai avuto un solo attore preferito, come non ho mai avuto un solo film preferito. Dipende molto dal periodo della vita in cui mi trovo, perciò mi riservo il diritto (o forse il privilegio?) di smentirmi già domani. Ma oggi, se dovessi fare un nome direi Amy Adams. Trovo che sia un’attrice straordinaria e di assoluto spessore — una vera garanzia di qualità. Il suo lavoro brilla anche in film pieni di difetti e di problemi, figuriamoci in quelli che funzionano. Non posso però non notare (e faticare a capire) come la Adams sia tutto sommato abbastanza sottovalutata, o quanto meno come non sia notata abbastanza quanto meriterebbe. Ma che gli altri se ne accorgano o meno, le sue performance in Arrival o American Hustle rimangono per me straordinarie e indimenticabili».
IL FILM CHE VEDREI ALL’INFINITO – «Anche qui, ovviamente non può essere uno solo. Ma trovandomi costretto a menzionarne soltanto uno: I Tenenbaum di Wes Anderson. Si tratta di un film col quale ho un profondo legame emotivo, che significa moltissimo per me, per tante ragioni diverse. Lo considero un po’ il film quintessential di Wes Anderson, quello che più di tutti è manifesto della sua sensibilità estetica e narrativa. Amo pazzamente i costumi, l’assurdità commovente dei suoi personaggi, il dramma dentro la commedia dentro un dramma, e molte delle scelte di regia: il carrello a seguire su Gwyneth Paltrow, a rallentatore, con These Days di Nico in sottofondo, mentre lei cammina verso Luke Wilson è forse la mia inquadratura preferita in tutta la storia del cinema.
E ce ne sono tante altre, meravigliose, che amo. Ma questa per me è impareggiabile. E poi, nella sequenza finale del film, Ben Stiller si gira verso Gene Hackman – il padre col quale per tutto il film si è rifiutato di parlare – e con tutta la vulnerabilità del mondo gli dice: “It’s been a tough year.” E Gene Hackman improvvisamente lo capisce, lo perdona, lo assolve. Questo momento del film non mi stufo mai di vederlo, e forse ancora di più alla fine in un anno come questo. In particolar modo alla fine del 2020, anche io ho bisogno che Gene Hackman mi perdoni perché “It’s been a tough year”».
LA COLONNA SONORA CHE AMO DI PIÙ – «Qui forse per la prima volta ho un vero vincitore: si tratta dello score di Ryuichi Sakamoto in Piccolo Buddha di Bertolucci. Musica assolutamente meravigliosa, e per di più musica che in alcuni momenti non dovrebbe funzionare, eppure lo fa. Il tema principale del film – o almeno della sua linea narrativa principale – è l’accettazione della morte e allo stesso tempo il superamento di essa attraverso la consapevolezza che la vita non si estingue mai, ma cambia soltanto forma. “Quando la tazza si rompe, il tè al suo interno non svanisce. Cambia solo di contenitore,” dice Lama Norbu al padre del piccolo Jesse. Di conseguenza, molto nella colonna sonora sembra impostato su temi ‘funebri’: è come se ci fossero tanti brevi brani di requiem che ogni tanto punteggiano le scene del film.
In una delle prime scene però, Lama Norbu – un prete tibetano che è alla ricerca della reincarnazione del suo maestro defunto – incontra Jesse, un bambino americano che potrebbe, forse, essere appunto il maestro reincarnato. All’inizio la colonna sonora riprendere il solito tema lugubre, da funerale, ma improvvisamente questo si ‘apre’ (non saprei che altre parole usare) e si trasforma in un’espressione commovente di una sorta di gioia serena, di un colpo di fulmine che invece che confondere la vista disvela l’orizzonte di fronte a noi. In quel momento capiamo che Lama Norbu e Jesse hanno fatto l’incontro determinante delle proprie vite. Ecco, quel tema funebre di cui parlo non dovrebbe starci lì! Non ha senso! E ancor meno ne ha il fatto che cambiando così leggermente, così impercettibilmente, possa trasformarsi in un accompagnamento perfetto per un momento così! È proprio perché non riesco a spiegarmi questa cosa che la colonna sonora di Sakamoto è la mia preferita in assoluto».
IL REGISTA CON CUI VORRESTI LAVORARE – «Tra i film che più di tutti mi hanno insegnato ad amare il cinema ci sono sicuramente quelli di Martin Scorsese. Io sarei pronto a quasi tutto pur di farmi dirigere da lui, e ancor di più dalla sua versione più recente. In una lettera inviata a Ingmar Bergman per celebrare il suo ottantesimo compleanno, Akira Kurosawa scriveva che è nella fase finale della carriera – durante la sua “seconda infanzia,” come la chiama lui — che un artista è capace di creare le sue migliori opere. Questo per me è vero in assoluto, ma forse in modo particolare per Scorsese. Quanto ho amato Silence! E quante speranze ho per i film che seguiranno The Irishman! Scorsese era un maestro già da giovane, negli anni ’70, ma penso che ultimamente abbia elevato ancora di più la qualità del suo lavoro. Solo desiderare di contribuire (chissà, un giorno…) ad uno dei suoi film mi riempie di gioia. Speriamo».
IL FILM CHE CONSIGLIO AI LETTORI DI HOT CORN – «Ai lettori di Hot Corn consiglio un film che si chiama Il salario della paura (titolo originale: Sorcerer), liberamente ispirato dal romanzo omonimo di Georges Arnaud e diretto da William Friedkin, il regista de L’esorcista, per intenderci. È un film secondo me straordinario. Diretto, senza fronzoli, ma pieno di idee di cinema sorprendenti. Puro cinema…».
- Qui trovate le altre puntate di IO & IL CINEMA
- Qui la nostra intervista a Jacopo Olmo Antinori per Weekend
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