ROMA – «Ho lasciato perdere i classici però, lo dico subito». Massimo Donati si prepara così a rispondere ad una puntata speciale della nostra rubrica Io e il Cinema (trovate qui gli altri ospiti). Perché speciale? Perché questa volta la declinazione è specifica: abbiamo infatti chiesto allo scrittore e regista, ora in sala con il suo film di debutto Diario di Spezie, di scegliere i suoi cinque thriller preferiti di sempre. «Però mi sono concentrato su alcuni film degli ultimi trent’anni», precisa. «Un avviso: la mia categoria thriller è molto larga e va da film più intimistici ed esistenziali a film noir, a gialli che hanno poco del relax da divano e pantofole». A questo punto siamo curiosi: vediamo cos’ha scelto Donati.
L’IMBALSAMATORE – «Parto da qui: la mia prima scelta cade su un’opera italiana come L’imbalsamatore di Matteo Garrone, un film bellissimo, nero e duro, ma così vero e sincero nel racconto delle intimità, dei rapporti fra personaggi come Peppino e Valerio. Un film che rimane di grande ispirazione per me nel modo che ha avuto di trattare la materia della tassidermia. E poi indimenticabile quell’immagine del toro imbalsamato…»
MEMENTO – «Sì, Memento di Christopher Nolan perché è un film che ha la capacità di farti percepire lo spaiamento esistenziale di chi ha distrutta la memoria a medio-lungo termine, con un espediente di linguaggio semplice e geniale. Ricordo ancora di essere uscito dal cinema con addosso la percezione che il tempo scorresse nella direzione sbagliata…».
THE GAME – «Qui voglio mettere The Game – Nessuna regola, diretto da David Fincher nel 1997, due anni dopo Seven, un film secondo me davvero troppo snobbato nella memoria collettiva. Una pellicola che ti tiene con il fiato sospeso ininterrottamente, con una follia per ricchi davvero ben congegnata che ha il grande merito di non farsi scoprire fino alla fine. E poi gli interpreti: un Michael Douglas al suo meglio con un ottimo Sean Penn…»
I SOLITI SOSPETTI – «Che dire: indimenticabile Kayser Söze ovvero Kevin Spacey, l’infinito scarto fra ciò che sembra e ciò che è. E indimenticabile quel passo zoppicante che si scioglie nella scena finale. Inserisco però un altro film qui: Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen. Mi ha fatto impazzire il romanzo e ancora prima la scoperta della scrittura carveriana di Cormac McCarthy, ma poi ho visto il film e ho pensato che fosse perfetto nel rendere plastica (grazie a un Javier Bardem mostruoso) la teoria suggestiva e agghiacciante dell’uomo senz’anima».
OLD BOY – «Chiudo con il cult di Park Chan-wook. Una vendetta, una prigionia lunga quindici anni. Un pugno in pancia, ma anche uno scollinare della violenza che diventa ribaltamento di tono, come nella scena della fuga dalla prigione, fino a convergere verso un senso e un finale così intensamente orientali, di colpa, flagellazione e rinascita…».
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