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Il professore cambia scuola | I nuovi miserabili e una lezione ai tempi del Covid-19

Cosa succede se il cinema finisce in classe? Può diventare una lezione utile per tutti: genitori e figli

Il professore cambia scuola
Che ci faccio qui? Denis Podalydès in una scena de Il professore cambia scuola.

MILANO – Ma in tempi di scuola a corrente alternata e didattica a distanza, tra polemiche politiche e discussioni inutili che cadono poi sulla testa degli studenti – in Francia come in Italia – il cinema può davvero fare qualcosa? Sì, può diventare un mezzo utile per riuscire a osservare dall’esterno una situazione che non si riesce più a decifrare, provocando una sana riflessione. Les Grand Esprits, in Italia diventato (in modo discutibile) Il professore cambia scuola, è stato girato dal bravo Olivier Ayache-Vidal ormai tre anni fa eppure mai come ora sembra indispensabile. «Repenser l’école», ripensare la scuola – quasi come il monito del grande Ivan Illich – sembra mai come ora un’urgenza e se ne accorge il professore colto Denis Podalydès, finito a insegnare in una banlieue parigina dove nessuno presta attenzione all’insegnante.

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Denis Podalydès e Abdoulaye Diallo in una scena de Il professore cambia scuola.

Il cinema francese – a differenza di quello italiano si potrebbe dire, non fosse per La scuola di Luchetti oppure Jalongo con La scuola è finita – ama molto girare dentro le scuole, da sempre trova banchi e studenti terreno fertile per il racconto e l’analisi sociale, è già successo con grandi film come La classe, A voce alta o il poco citato La mélodie (riscopritelo se potete, è in streaming su CHILI). Ecco, Il professore cambia scuola si inserisce perfettamente in questo filone. Non a caso Olivier Ayache-Vidal, fotografo e giornalista prima di diventare regista, ha trascorso due anni nella vera scuola che si vede nel film, a Stains, cercando di capire umori e amori, passioni e difficoltà di una generazione che a scuola va poco e mal volentieri.

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Storia e selfie? La visita a Versailles.

Chi sono i volti dietro quei nomi? Quali difficoltà si nascondono sul registro dietro i voti? Quante e quali famiglie? Perché quelle alzate di spalle strafottenti? Ayache-Vidal – che ha cominciato nel 2004 dirigendo Omar Sy – è andato al collège Barbara di Stains, periferia Nord di Parigi, a 11 km dal centro, per capire qualcosa di più, per dare forma e faccia al disagio, è entrato nella scuola per mesi, parlando e ascoltando (sopratutto). E non a caso che nel film decida di citare Victor Hugo, perché secondo lui i miserabili di oggi saranno anche messi meglio di quelli di ieri, avranno smartphone e benessere, ma – come insegna Ladj Ly con il suo capolavoro premiato a Cannes – la loro situazione è in equilibrio precario. A tratti insostenibile.

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Dialogo difficile: un’altra scena de Il professore cambia scuola.

Eppure. Eppure ne Il professore cambia scuola ci sono molte domande anche sul mondo adulto e sul mondo dei docenti: il buon insegnante nel liceo borghese di Parigi si rinchiude nel suo mondo accademico con la testa nel registro perché è più facile, ma la vita reale è altrove. Dove? Sui banchi con ragazzi che non vogliono ascoltare, non vogliono sentire, perché devono scendere a patti con la loro difficoltà. Insomma, il film di Ayache-Vidal può – e deve – anche servire come uno spunto per riflettere sulla scuola, per cambiare punto di vista, con lezioni a distanza e ragazzi che devono trovare il senso di tutto dopo una pandemia che ha stravolto – soprattutto – le loro vite.

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