ROMA – All’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale, in un piccolo paese calabrese, l’incontro tra Marta, ragazza madre promessa in sposa ad un uomo che non ama, e Lorenzo, l’omosessuale locale conosciuto come l’organizzatore dei matrimoni, fa nascere una profonda amicizia che porta la giovane ragazza a sfidare i pregiudizi della comunità che li circonda e a lottare per trovare il proprio posto nel mondo come donna. Parte da qui Il mio posto è qui, un film di Daniela Porto e Cristiano Bortone con protagonisti Ludovica Martino e Marco Leonardi che dopo aver emozionato al Bif&st – Bari International Film Festival 2024 è in arrivo al cinema dal 9 maggio con Adler Entertainment.

Tratto dall’omonimo romanzo della stessa Porto (edito da Sperling & Kupfer nel 2024), Il mio posto è qui appare da subito come un progetto personalissimo per l’autrice: «Nasce da un racconto che mi ha fatto mia madre su un omosessuale che aiutava le ragazze in un paesino calabrese a organizzare il giorno del loro matrimonio. Parliamo degli anni Sessanta, non degli anni Quaranta, e il modo in cui lei ne parlava nascondeva un minimo di invidia. Faceva notare che nonostante fosse omosessuale, in quanto uomo, poteva comunque godere di una libertà maggiore rispetto a una donna. Così mi è venuta l’idea di fare incontrare due emarginati: una ragazza madre e un omosessuale».

Da qui all’adattamento in chiave filmica c’è voluto pochissimo secondo Bortone: «Daniela ha tenuto questo romanzo segreto per tanti anni, come fosse una specie di hobby. Finalmente sono riuscito a strapparglielo tra le mani, l’ho letto e due anni fa ne sono rimasto affascinato per la sensibilità incredibile, per lo sguardo femminile su questo mondo e sui personaggi. Poi, quando Sperling, appena letto, le ha chiesto di poter pubblicare il romanzo, è stata un po’ una conferma. Quando abbiamo pensato all’adattamento, sono stato io il primo a dirle che non volevo appropriarmi del suo racconto. Volevo rispettare il suo sguardo, così lei mi ha proposto di dirigere il film insieme».

L’unione di visioni e di sguardi dà così vita a un Il mio posto è qui racconto puro e crudo di vivido e non edulcorato realismo. Sullo sfondo di un Sud Italia arcaico, fatto di ruderi, luci fioche e crudeltà d’animo, assistiamo all’amicizia salvifica tra Marta e Lorenzo – persone semplici solo in parte consapevoli del fervore, del cambiamento politico e sociale dell’epoca – e con essi la voglia di vita, di riscatto, di trovare il proprio posto nel mondo in un viaggio narrativo che è (ri)scoperta identitaria ed emancipazione tra desideri e discriminazioni, sogni infranti e da custodire, amori mancati e altri violentati, scelte compiute e non più (solo) subite.

In essa cresce il cuore filmico di Il mio posto è qui e l’universalità dei suoi temi che vedono le coercizioni e le violenze – fisiche, morali e sessuali – degli anni Quaranta calabresi, tristemente traslabili alla contemporaneità del presente fatta di femminicidi, omofobia e intolleranza. Componente che in tal senso avvicina l’opera di Porto e Bortone allo straordinario C’è ancora domani, lasciando esplicito là dove la Cortellesi sceglieva di smussare con ironia e balli. Il resto è la bravura della coppia Ludovica Martino-Marco Leonardi dall’alchimia scenica straripante che fanno innamorare e perfino “tifare” per loro, tra fragilità, imprevisti e atti di coraggio che lo script di Porto e Bortone mette dinanzi al loro cammino.

In tal senso, se l’attore italo-australiano è sempre un piacere da vedere in scena – ed è la sua filmografia a parlare (ricordate il Fideo in C’era una volta in Messico di Robert Rodriguez?) – per la grazia artistica con cui tratteggia i suoi personaggi, senza eccessi e banalità, intenso, discreto e profondo, nel caso della Martino quello di Il mio posto è qui è la maturazione di un’attrice capace di delicatezza, tenacia e credibilità, illuminando con la sua presenza scenica le immagini di un’opera dura, marcatamente drammatica ma non priva di speranza. O per dirla in altre (e più semplici) parole: un film bellissimo.
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