ROMA – Adattamento dell’omonimo libro di Colson Whitehead (in Italia edito da Mondadori) premiato con il Pulitzer per la narrativa nel 2020, I ragazzi della Nickel è senza dubbio la sorpresa delle nomination di questi Oscar – e che arriverà su Prime Video dal 27 febbraio – passato sotto l’occhio vigile di Brad Pitt che lo ha prodotto con la sua ormai nota casa di produzione Plan B, artefice del successo di titoli quali Moonlight, Ad Astra, La ferrovia sotterranea e Il problema dei 3 corpi. Una produzione che ha aperto al film di RaMell Ross una strada di successi e consensi, conducendolo lì dove merita di essere, alla stagione dei premi e alla glorificazione di un film brutale, necessario e memorabile. Ancor prima d’essere tale, I ragazzi della Nickel è un tragico manifesto di denuncia sociale, che compie una doppia indagine, una all’interno del film e l’altra prima che lo stesso cominci. Infatti, pur risultando spaventoso, niente di quanto mostrato e raccontato da Ross e Joslyn Barnes, co-sceneggiatrice del film, è finzionale, piuttosto a metà strada tra realismo documentaristico e spirito letterario/autoriale, tanto di Colson Whitehead, quanto di Ross e Barnes…

La Nickel Academy al centro del film, infatti, altro non è che una delle moltissime scuole-riformatorio per soli maschi, nate dopo l’emanazione delle brutali leggi razziali di Jim Crow, artefice e complice degli orrori propri degli anni della segregazione in America e non solo. Il suo nome reale è Arthur G. Dozier School for Boys, a Marianna, Florida. Noto per essere stato, per più di un secolo, il teatro di scene raccapriccianti, torture, stupri e violenze di ogni sorta nei confronti di minori incarcerati, allo scopo di “rieducarli” alla disciplina della società civile. Un vero e proprio luogo dell’orrore, che pur essendo tale, l’abilità registica e autoriale di Ross e Barnes osserva, non tanto come inferno, piuttosto come limbo, o meglio, come luogo di sospensione tra vita e morte. Non è forte chi sopravvive, così come non è debole chi soccombe, è questione di fortuna e forse perfino di adattamento al male, che dapprima sotterraneamente e poi sempre più ferocemente prende piede tra i campi, le baracche, i bagni, i dormitori e gli “spazi sportivi” della Nickel.

Lì dove tutti osservano, lì dove tutti tacciono, poiché la violenza non ha fine, tramandata addirittura di generazione in generazione. Non è detto infatti che i carcerieri abbiano un colore della pelle differente, così come non è detto che i più “tolleranti”, siano effettivamente tali. Animi crudeli celati da una maschera di apparenze e silenzi. Lo sanno bene Elwood e Turner, che nel pieno della loro adolescenza, si ritrovano per ragioni differenti proprio in quel luogo dell’orrore, costretti all’apprendimento della violenza e all’immediata consapevolezza di non poter sopravvivere, o fuggire, senza prima accettare le regole della Nickel, per poi violarle, cercando di dimenticare, anche se così prevedibilmente non sarà.

Ross e Barnes, fedeli allo spirito letterario incredibilmente immersivo di Whitehead, realizzano un film tecnicamente ed emotivamente impeccabile, che forte di un punto di vista quasi interamente in soggettiva, permette alla spettatore di non porre mai distanza tra sé, i protagonisti e ciò che accade loro, scambiandoli di tanto in tanto, senza mai mutare, senza mai preferire un linguaggio ed una stilistica canonici, perché quello sì che avrebbe corso il rischio di rendere I ragazzi della Nickel, soltanto uno dei moltissimi altri film sulla segregazione razziale in America. No, il film di Ross e Barnes è un’esperienza unica, malinconica, frastornante a volte e senz’altro complessa e non alla portata di un pubblico generalista. Un po’ per i suoi tempi estremamente sospesi e dilatati e un po’ perché tra le intenzioni dei suoi autori, non vi è mai né gusto sensazionalistico, né gusto forzatamente seducente, proprio invece di molti altri titoli appartenenti allo “stesso” filone cinematografico.

Per certi versi I ragazzi della Nickel è un film respingente. Il suo è un linguaggio spezzato e lacerato, proprio come l’animo dei protagonisti, che di tanto in tanto svaniscono, tra diapositive, documentazione propria di un reale materiale d’archivio e spazi della mente, alla deriva, tra impossibilità di dimenticare il dolore e incapacità di accettarne la fine, indagando, esplorandone gli inferi, ossia le origini e le radici più profonde, risvegliandole quasi, nella memoria. La fuga dunque, è mai davvero tale? Un meraviglioso, brutale e indimenticabile manifesto sull’amicizia, la forza d’animo, la necessità di denunciare l’ingiustizia e la volontà di gridare il proprio dolore, affinché non accada mai più, affinché qualcuno racconti la verità, dimenticando il silenzio, la sottomissione e la privazione dei propri diritti. Spesso ci si chiede, qual è un film realmente necessario? Ora abbiamo una risposta.
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- VIDEO | Qui per il trailer di I ragazzi della Nickel:
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