MILANO – Dalla Macedonia del Nord all’Oscar: in sintesi potrebbe essere raccontata anche così la storia di Honeyland, opera di Tamara Kotevska e Ljubmir Stefanov, vincitrice di tre premi al Sundance nel 2019 e poi candidata addirittura a due Oscar nel 2020, sia come miglior documentario che come miglior film internazionale. Catapultandoci in un territorio che sembra rimasto ai confini del mondo, il documentario mostra allo spettatore una vita modesta ma quantomai idilliaca, quella degli apicoltori nella Macedonia del Nord. Inseguendo un canto che sembra appartenere ad altri tempi, la cinepresa segue così Hatizde, una donna di etnia turca che sulle montagne raccoglie il miele e vive in perfetta simbiosi con le api e la natura.

Honeyland è un perfetto esempio di quel cinéma vérité narrato da Edgar Morin perché con un approccio strettamente osservativo mostra la vita nel villaggio di Hatizde ma viene lasciato allo spettatore anche spazio a una riflessione più profonda, importante e drammaticamente attuale. Il consumismo e la corsa al profitto, rappresentati da Hussein che arriva al villaggio con la sua famiglia nomade, mette in pericolo l’equilibrio ecologico e la vita stessa delle api, ponendo l’attenzione sulla loro importanza per l’ecosistema globale. «Prendere metà, lasciare metà»: questa è la regola di Hatizde, ovviamente ignorata dall’arroganza degli uomini d’affari. In questo senso, il film si può considerare come una parabola sulla corsa allo sfruttamento delle risorse naturali.

Il distruggere compulsivamente le riserve del pianeta si configura come un suicidio per l’umanità, un’auto-distruzione di cui però sembra non importare nulla a chi vuole il profitto sempre e comunque. La scelta di Fejmi Daut e Samir Ljuma, responsabili della fotografia, è quella di alternare ampie inquadrature degli spazi con riprese dettagliate di alcuni particolari, creando un’armonia tra il microcosmo delle api e il macrocosmo del territorio. Anche la scelta di non utilizzare musiche di sottofondo, ma lasciare che siano i rumori della vegetazione, degli animali e della vita quotidiana nel villaggio a permeare le scene contribuisce a dare il senso di una realtà che, purtroppo, nella nostra società contemporanea è irrimediabilmente andata perduta.

L’azione di quell’utilitarismo crudele, diventato ormai la norma, è ciò che annienta questi piccoli angoli di paradiso, non ancora intaccati da concetti come il guadagno o il tornaconto personale. Un’esistenza in cui ancora vige il riguardo e una certa devozione nei confronti di ciò che ci è stato dato e che ancora non è caduta nella trappola dell’ottimizzazione. Per questo, Honeyland e Hatizde si stagliano su tutto e tutti, come avvertimento del danno irreparabile verso cui ci stiamo dirigendo ed esempio di come sia possibile formare una relazione alla pari, con le api, con la natura e con il mondo che ci circonda. Riscopritelo: è una lezione di vita.
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