ROMA – Da qualche anno a questa parte, abbiamo compreso una volta per tutte, quanto il confine linguistico e visivo tra cinema e universo videoludico sia sempre più sottile. Eppure, non sono molti gli autori che hanno deciso di cimentarsi nella produzione di cortometraggi e lungometraggi interamente ambientati all’interno di un videogioco. Primo tra tutti il John Hillcoat di Red Dead Redemption: The Man Of Blackwater, seguito a distanza di quattordici anni dal duo di neo-autori, formato da Samuel Crane e dalla regista Pinny Grylls. Ritrovatisi disoccupati nel bel mezzo del lockdown, scaturito dalla pandemia, i due amici – uno dei quali, Sam, è attore di teatro – decidono di tentare un’impresa folle, delirante e sensazionale, ossia mettere in scena l’intero Amleto di William Shakespeare, servendosi dell’universo videoludico, iperviolento, sboccato e spesso immorale di GTA V, con tanto di casting e attesa di un pubblico virtuale. Così è nato il docufilm più sregolato, pazzo, originale e imprevedibile di sempre, Grand Theft Hamlet, che trovate su MUBI.

È curioso. Mai prima di questo momento avremmo pensato di assistere ad una forma cinema, capace di esprimersi più che liberamente ed esclusivamente all’interno di un altro contenitore linguistico, visivo e narrativo, come quello dei videogame. Eppure è successo e lo dobbiamo a due individui che in un periodo di grande difficoltà emotiva – lo si evince nel corso di Grand Theft Hamlet, a partire dalle conversazioni. che in sottofondo accompagnano le gesta degli avatar nel pericoloso mondo urbano di GTA -, hanno scelto di lasciarsi andare, almeno per un po’ ad una vita prettamente virtuale, trovando in essa conforto, divertimento e perché no, perfino imbarazzo e coinvolgimento affettivo. Tanto da scordare la sofferenza fisica, creativa e psicologica, causata dalle limitazioni della pandemia da Covid-19.

Perciò, se la vita reale non promette ingaggi lavorativi, specie nel settore dello spettacolo e dell’intrattenimento – in questo caso teatrale -, perché non provare a reinventarsi, cercandoli altrove? GTA V però, per quanto vario, incredibilmente realistico in termini di impianto visivo – il film compie un sorprendente lavoro sulla composizione dell’inquadratura e nulla è affidato al caso, nonostante l’imprevedibilità dello scenario e dei movimenti virtuali – e certamente interessante sul piano della sua “frequentazione di gioco”, poiché popolato da individui sparsi in tutto il globo, è in definitiva un contenitore senza fondo di violenza estrema, gratuita e divertita e con essa, irrefrenabili istinti di distruzione ed efferatezza, dei quali inaspettatamente ci ritroviamo a ridere, percependone poco dopo, il carattere futile, fanciullesco e ingenuo. Qui nasce l’imprevedibile, qui nasce il grande divertimento e al tempo stesso l’inevitabile frustrazione di chi vorrebbe davvero modellare e piegare il linguaggio di GTA, a quello dell’opera Shakesperiana, costantemente minacciato e dato in pasto a bot e giocatori, che improvvisamente giungono nel luogo virtuale di ritrovo.

Un anfiteatro sulle colline della città, appiccando incendi e ricorrendo a stragismi e assassinii di ogni sorta, con tanto di trucchi – chi ha giocato a GTA non faticherà a ricordarne alcuni –, insulti gratuiti e minacce. Dunque come potrebbe mai riuscire la realizzazione dell’intero Amleto, tenendo in considerazione questa macabra e folle imprevedibilità? Seppur non ci sia concesso conoscerne e ammirarne ogni dettaglio – vedremo dei frammenti nella parte conclusiva del film -, l’Amleto riesce. Non tanto grazie all’impegno creativo dei due amici/neo-autori/videogiocatori e ancor prima teatranti, Samuel Crane e Pinny Grylls. Piuttosto grazie alla malinconia e allo sconforto profondo che i due, in modo differente si ritrovano a provare dentro e fuori GTA V, durante la realizzazione tanto dell’opera, quanto del docufilm che oggi vediamo. Poiché la vita, per come l’hanno – e abbiamo – conosciuta in quel tragico e spaventoso periodo, si è improvvisamente arrestata, mettendo in dubbio e in crisi ogni certezza.

Passando per la realtà professionale, fino a quella familiare, dalla quale i due addirittura fuggono, rifugiandosi nell’Amleto, che però è a sua volta proiettato e ferocemente lanciato in un mondo altro, che è simulazione e specchio della realtà, quello di GTA V. Se inizialmente poi la missione impossibile, sembra essere “soltanto” la riuscita dell’Amleto, uccisioni, esplosioni, minacce e bug a parte, man mano che Grand Theft Hamlet procede si ha l’evidenza di una seconda ricerca altrettanto impossibile, altrettanto dolorosa, ritrovare sé stessi oltre il virtuale, il teatro e le drammatiche limitazioni della pandemia. Dunque ritrovare la vita, quella che allo spegnimento dello schermo non sprofonda nell’oscurità. Quella che nonostante le cadute e le paure, ci mostra che è sempre possibile ritrovare la luce. Occorre non perdere la speranza, il teatro in questo senso, può essere un faro e in quanto tale, va seguito. Una nuova forma cinema è nata, lo dobbiamo al teatro, a GTA V e alla malinconia.
- HOT CORN TV | Grand Theft Hamlet, il trailer:
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