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Giornalismo, cinema e verità: chi era Marie Colvin, la vera protagonista di A Private War

Il viaggio, l’etica e la morte in Siria: la storia della giornalista interpretata nel film da Rosamund Pike

A Private War
Benda da pirata e sorriso: Marie Colvin a Londra in uno dei rari momenti in cui non era al fronte.

Da studentessa, negli anni Settanta, avrebbe voluto diventare una biologa marina, una sorta di Jacques Cousteau del futuro. Invece è diventata una delle più grandi corrispondenti di guerra contemporanee e la sua morte – avvenuta in Siria, nel febbraio del 2012 durante un bombardamento, mentre fuggiva assieme al fotografo francese Rémi Ochlik – ha contribuito ad alimentarne il mito. L’incredibile e affascinante vicenda di Marie Colvin diventa ora un film grazie a  Matthew Heineman, regista americano che ha deciso di raccontarla in A Private War, in Italia dal 22 novembre, un biopic interpretato da Rosamund Pike per rendere omaggio ad un’eroina tanto temeraria quanto fragile.

Marie Colvin in una delle sue missioni al Cairo. Foto – Ivor Prickett.

Ma chi era Marie Colvin? Quando si legge e si racconta la sua storia, la parola che torna con maggior frequenza è leggenda. La ripetono i colleghi che hanno condiviso con lei parte della vita professionale e che possono spiegare senza troppi giri di parole quanto sia stata forte. E, non a caso, la pronunciano con ossequio i giovani giornalisti che vedono ancora oggi in Marie un modello di integrità assoluta.

Rosamund Pike è Marie Colvin in A Private War. Foto – Paul Conroy / Aviron Pictures

Americana di Oyster Bay, laureata alla Yale, la Colvin è stata inviata per Sunday Times dal 1985 fino al giorno della morte e per il quotidiano inglese ha seguito le guerre d’Africa e in Medio Oriente, oltre ai conflitti in Cecenia, Kosovo e Sierra Leone. Nel 1999 a Timor Est, nel Sudest asiatico, si rifiutò di abbandonare un gruppo di donne e bambini rinchiusi in una roccaforte militare dall’esercito indonesiano. Rimase con loro, scrisse una serie di articoli per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sul caso e riuscì ad ottenere la liberazione di tutti i prigionieri dopo quattro giorni.

Marie Colvin e il suo inseparabile taccuino

Sembrava invincibile Marie Colvin, anche con la benda da pirata adagiata sull’occhio sinistro, un ricordo del 2001, quando, a causa dello scoppio di una bomba durante un reportage nello Sri Lanka, perse per sempre la vista a quell’occhio, una ferita dolorosa che quasi ne compromise la carriera, ma che invece – paradossalmente – la rese ancora più forte. «Ma io non ho la sua stessa passione, anche se so cosa vuol dire avere una vocazione che ti porta fuori dalla vita reale», ha spiegato la Pike, che nel film vediamo con benda e ghigno à la Colvin.

A Private War
Rosamund Pike e Jamie Dornan in A Private War

«Il mio lavoro è far capire cosa succede quando un essere umano è costretto a vivere in condizioni insopportabili. Queste persone non hanno voce. Se un giornalista ha anche una sola possibilità di salvarle, deve farlo», disse la Colvin in un’intervista al Guardian e non è ovviamente un caso se la giornalista ha cercato fino all’ultimo di testimoniare gli orrori di un conflitto atroce come quello siriano e se nella sua lunga esperienza da cronista non è mai indietreggiata davanti al pericolo. Perché mostrare i fatti nella loro interezza non è solo giornalismo, significa anche compiere una missione etica.

Una scena di A Private War
Una scena di A Private War

A sei anni dalla morte, oltre al film e alla leggenda portata sul grande schermo, il lavoro della Colvin sopravvive ancora. La Stony Brook University le ha intitolato un centro per il giornalismo internazionale, mentre la famiglia ha istituito un fondo che raccoglie finanziamenti in favore di associazioni ed enti umanitari affini allo spirito di Marie. Con lo stesso coraggio, i Colvin hanno intrapreso un’azione legale contro il Governo di Assad, considerato il responsabile principale della morte della reporter a Homs.

L’ultima missione: Marie Colvin in Siria

C’è sempre un momento nella vita di un giornalista in cui ci si chiede se stia facendo abbastanza per non lasciare che la verità resti inascoltata oppure se, al contrario, i compromessi non stiano avendo la meglio. Siamo convinti che anche Marie Colvin se lo sia chiesto spesso lungo il suo percorso, ma la risposta sia sempre stata netta e immediata. Perché i giornalisti come la Colvin la suola delle scarpe se la rovinano eccome. Tutti i giorni.

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Qui sotto una clip di A Private War:

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