MILANO – Dopo l’anteprima mondiale al Sundance Film Festival 2023 e la partecipazione in concorso al Roma Film Fest 2023 nella sezione Progressive Cinema, Fremont ha inaugurato la 33ª edizione del Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina (Fescaaal). Il film, diretto e scritto da Babak Jalali e co-sceneggiato dalla nostra Carolina Cavalli, arriva finalmente nei cinema italiani grazie a Wanted Cinema: da sempre attenta al cinema indipendente americano (Fremont ha vinto il premio John Cassavetes agli Independent Spirit Awards), ha colto l’occasione di portare nelle sale questo gioiello di ritratto intimo. Il film vede protagonista la giovane e fenomenale Anaita Wali Zada, la cui interpretazione sincera dipinge un personaggio in bilico nella ricerca di felicità ed equilibrio.

Donya (Anaita Wali Zada) è un ex traduttrice afghana per l’esercito americano, ora una rifugiata che trascorre i suoi vent’anni alla deriva in una misera esistenza a Fremont, in California. Facendo la spola tra il suo lavoro di scrittrice per una fabbrica di biscotti della fortuna e le sedute con il suo eccentrico terapeuta, Donya soffre di insonnia e di senso di colpa per chi è rimasto e ha lasciato a Kabul, mentre cerca disperatamente l’amore. Il punto forte di Fremont è la sua genuinità, alla cui base si trova un solidissimo racconto possibile grazie alla connessione artistica tra Jalali e Cavalli.

Questo legame tra i due autori conferisce al film qualità e bellezza: c’è il sentimento autobiografico del regista (che ha lasciato Teheran da bambino alla fine della guerra Iran-Iraq) che si riflette nel senso di colpa che prova Donya quando la felicità sembra finalmente raggiungerla, pur credendo di non meritarla; Carolina Cavalli dona al film la sua capacità, già apprezzata Amanda di riuscire a far parlare i personaggi con sincerità e realismo, inserendo una sottile vena d’ironia che Babak Jalali mantiene misurata per tutto il film. Il risultato è una storia dolceamara, anticonformista, eccentrica, sobria e tenera.

La tenerezza si riflette interamente nel volto di Anaita Wali Zada, un’attrice non professionista capace di reggere il peso dell’intero film da sola. Il suo personaggio, Donya, esprime una timida rabbia senza mai scomporsi, affrontando la vita con una concretezza disarmante. Contrariamente al paragone fatto dal suo psicologo (interpretato da un caustico Gregg Turkington) con il lupo di Zanna Bianca – rabbioso nel tentativo di integrarsi – Donya incarna una risolutezza forgiata da un passato difficile e unico. La sua pragmaticità non la rende insensibile; al contrario, offre una nuova prospettiva nel genere del coming-of-age.

Di fronte alla tenerezza dello sguardo di Donya (che cela una complessità degna di un film di Jim Jarmusch) persino un attore del calibro di Jeremy Allen-White vacilla nel finale, lasciandosi trasportare da una chimica invidiabile che ci affascina. Il merito è di una struttura filmica costruita sulla sincerità, che rende Fremont un film particolare e ironico, la miglior rappresentazione degli ultimi anni del cinema americano più indipendente, un cinema di cui si sente particolarmente il bisogno, soprattutto quando è così: puro e bello.
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