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Fabrizio Campanelli: «La mia musica per Luca Lucini e poi Vangelis, Morricone e Yared…»

Il compositore racconta a Hot Corn la colonna sonora di Io e mio fratello, ma anche passioni e ispirazioni

Fabrizio Campanelli
Fabrizio Campanelli riflette sulle domande di Hot Corn.

ROMA – Dopo aver intervistato Michele Braga al nostro Hot Corner per Scordato (potete vedere qui il dialogo) e Vitalic per Disco Boy di Giacomo Abbruzzese (potete leggere qui l’intervista), per la nostra nuova puntata di Soundtrack questa volta siamo andati sulle tracce di Fabrizio Campanelli che ha appena firmato la colonna sonora di Io e mio fratello, nuovo film di Luca Lucini ora su Prime Video. Livornese classe 1973, Campanelli si è sempre distinto per il tocco incisivo quanto elegante dei suoi score, da Solo un padre, sempre di Lucini, fino al più recente (e sottovalutato) Calcinculo di Chiara Bellosi passando per documentari come Gianni Berengo Gardin: My Life in a Click (qui potete ascoltare un estratto). In questa conversazione partiamo così dall’ultimo lavoro per andare poi alla scoperta di passioni e ispirazioni, tra riferimenti e maestri.

La nostra nuova puntata di Soundtrack.

IO E MIO FRATELLO – «Con Luca (Lucini, nda) condividiamo da sempre un’idea di commedia che coniughi il meglio della tradizione italiana con l’eleganza e la raffinatezza della messa in scena di molto cinema francese e anglosassone, evitando la retorica spicciola. Il suo è un linguaggio che va ricercare la profondità, la tridimensionalità del personaggio, anche attraverso la musica e anche nei momenti più comedy cerchiamo di scappare dalle banalità o dalle didascalie folkloristiche. In Io e mio fratello ha evidenziato spontaneità, dolcezza e intimità dei personaggi stando loro addosso, usando i dettagli, gli stretti. Forse è da lì che siamo partiti, per andare a cercare il carattere intimo e allo stesso tempo ribelle che anima i tre protagonisti, Mauro, Sofia e Michela (interpretati da Cristiano Caccamo, Denise Tantucci e Greta Ferro, nda) un carattere che ribolle in un continuo movimento, che si relaziona col mondo con il linguaggio della passione».

Fabrizio Campanelli in studio durante la registrazione della colonna sonora.

LA CALABRIA – «Io e mio fratello è stato in gran parte girato in Calabria, dove si sviluppa la trama e va in scena il matrimonio, così abbiamo utilizzato suoni che fanno parte del folklore regionale, come la fisarmonica, trattati e filtrati però in chiave più moderna e sonora. La fisarmonica è molto presente, anche se non lo sembra, perché a volte assume quasi sonorità synth per come’è suonata e trattata. Un’altra idea che piaceva molto a Luca era legare il protagonismo sonoro di uno strumento al carattere del personaggio. Questo è avvenuto, non in modo puntuale o didascalico, con i protagonisti dove il colore di ciascuno assume tinte sonore caratteristiche della sua psicologia. Il discorso sonoro e tematico si restringe e si allarga con il respiro della storia e dei personaggi, andando dagli strumenti soli verso la grande orchestra e viceversa…».

Io e mio fratello
Greta Ferro e Cristiano Caccamo in una scena di Io e mio fratello.

IL MIO COMPOSITORE – «Il compositore preferito? Amo molto e guardo spesso alla scuola francese: Philippe Rombi, Gabriel Yared, Frédéric Talgorn, Cyrille Aufort, Bruno Coulais, Pierre Adenot, René Aubry, lo scomparso Michel Colombier e ovviamente Alexandre Desplat, anche se è ormai hollywoodiano. Mi piace il loro modo, mai banale e ricercato, di tratteggiare le situazioni: anche i momenti più comici non sono mai scontati. E mi piace come muovono i legni, i flauti: hanno un suono e un colore caratteristico. Del cinema americano adoro l’approccio di Jon Brion – penso che l’inizio di Eternal Sunshine of a Spotless Mind sia uno dei più belli della storia del cinema -, Thomas Newman, Theodore Shapiro, Justin Hurwitz, Danny Elfman, Carter Burwell. Del passato Henry Mancini, Bernard Hermann senza contare le due leggende che ormai potremmo anche fare a meno di citare: Ennio Morricone e John Williams».

Fabrizio Campanelli.
Yared o Newman? Le scelte di Fabrizio Campanelli.

IO E LUCA – «Io e Luca (Lucini, nda) ci conosciamo da quasi vent’anni, da quando lo incontrai per fargli sentire alcuni brani, quando le cose si facevano ascoltare con il CD. Mi chiese di lavorare su una pubblicità, uno spot dell’Alto Adige. Da lì abbiamo iniziato a collaborare su molti progetti, spaziando dall’advertising al cinema, affrontando ogni impegno con entusiasmo, come se ogni lavoro fosse il primo e l’ultimo. Un percorso che ci ha portato a due candidature ai David di Donatello, prima con Solo un padre e poi con Come diventare grandi nonostante i genitori. Devo molto a Luca, senza di lui non sarei qui. Ho una sintonia speciale con lui: ha una sensibilità particolare, è esigente, ma lascia allo stesso tempo una libertà di interpretare fuori dal comune. Mi sono sempre trovato a mio agio con la sua visione del cinema e con il suo carattere, che del resto in quella visione si riflette, elegante, profondo, mai scomposto e, sopra ogni altra cosa, sognatore. Detto sinceramente, ogni progetto con lui lascia sempre qualcosa di unico e di bello».

LA MIA COLONNA SONORA PREFERITA – «Dunque, per trovarla, o meglio trovarle, provo a fare una piccola seduta di autoanalisi e a risalire a ciò che mi ha fatto arrivare ad amare la musica applicata fin da quando ero piccolo. Se in una sorta di gioco della torre riduco tutto a quattro ascolti chiave, mi viene da pensare a colonne sonore o brani che mi entrarono nel cuore e che hanno inciso molto. Primo momento: 1983, Blade Runner,Vangelis. A dieci anni, anche se non capisco bene la profondità di ciò a cui ho assistito (è il mio film preferito), scopro un mondo diverso dalla musica classica che ero abituato ad ascoltare. Un mondo nuovo, magnetico e incredibile. Secondo momento: 1987, la pubblicità di Stefanel Kids. Brano: C’est le vent, Betty di Gabriel YaredAscolto e finisco al tappeto per la bellezza. Finisco col risintonizzarmi sempre alla stessa ora per rivederla e risentirla. Terzo momento: seconda metà anni Ottanta, C’era una volta in America. Ennio Morricone. Intuisco che la musica di quel film appartiene a un’entità sovrannaturale».

Vangelis, Morricone, Yared: tre riferimenti di Fabrizio Campanelli.

LA MIA COLONNA SONORA PREFERITA #2 – «Poi però c’è stato anche un quarto momento, qualche anno dopo, questa volta credo siamo nel 1991 e la pubblicità era quella di Snam, il metano. Brano: Dolorosa di Michel Colombier. Ascolto e ho bisogno di ore per riprendermi, anzi, credo in verità di non essermi mai più ripreso. Aggiungo a questo elenco anche un quinto ascolto, un jolly. Questa volta siamo nel 2000, sono al cinema a vedere American Beauty con la colonna di Thomas Newman. Guardo la busta che vola, sento le note di Any Other Name e penso che già lì possiamo andarcene tutti a casa a riflettere, in silenzio, per almeno un mesetto. E che dopo, solo dopo, si può cercare di capire come riuscire con poche note ad avere una densità espressiva ed esistenzialista come quella. Sto ancora cercando di capire e penso che non ci riuscirò mai.

LA SITUAZIONE IN ITALIA – «Nonostante la grande tradizione, in Italia le colonne sonore sono sempre in secondo piano? Dunque, questo per me è un mistero al pari dei buchi neri. È una materia oscura che faccio fatica a comprendere e che non penso sia solo riconducibile all’appiattimento e all’imbarbarimento dell’offerta che porta gli spettatori/ascoltatori ad allinearsi a un linguaggio sempre più elementare, basico e che ha indotto forse il mondo della produzione a non prestare più attenzione al valore e alla potenza della musica. Attenzione a non confondere la semplicità, che è un’arte di cui i grandi compositori sono stati i primi maestri, con la banalità, che è tutt’altra cosa. Oggi ci scontriamo forse con un uditorio che ha assorbito decenni di banalità reiterata, diffusa, insistita e questa forse è diventata linguaggio corrente. I media di sicuro non hanno aiutato, inseguendo la logica che ha portato la musica popolare a ridursi sia come qualità che come differenziazione di generi».

Le (molte) facce di Fabrizio Campanelli.

L’IMPORTANZA DELLE COLONNE SONORE – «L’amore e la pazienza nello scrivere, le notti insonni, la cura del dettaglio, i mesi spesi dietro a una catena produttiva lunga, difficile e complessa, sono oggi ormai dominio di un gruppo, quello dei compositori di musica da film – tutti gli amici e colleghi di ACMF – che sembra una sorta di setta iniziatica depositaria di un sapere oscuro ai più, anche agli stessi produttori, e che lo coltiva e lo tramanda fra mille difficoltà e indifferenza per ciò che in definitiva finisce per fare il bene del film, a volte incidendolo nella memoria e nel cuore dello spettatore, a volte salvandolo da un sonoro fiasco. Oggi molti pensano che basti una library, un computer o dei samples per poter ottenere un risultato che in realtà non possono e non potranno mai, dico mai, ottenere. Eppure poi, quando chiedi alle persone o ai ragazzi che attività musicale vorrebbero svolgere come scrittori o compositori o quali musiche hanno segnato e arricchito la loro vita, si finisce sempre qui, in questo maledetto, adorato e in Italia bistrattato mondo della musica applicata. Misteri della vita…».

  • SOUNDTRACK | Le colonne sonore viste da Hot Corn
  • AUDIO | Gli ascolti consigliati da Fabrizio Campanelli:

 

 

 

 

 

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