ROMA – Billy Zane, John Landis, Dom DeLuise, Martin Balsam, Joe Dante, Mel Brooks e John Carpenter. E la lista potrebbe continuare a lungo. A riunirli sullo stesso set Ezio Greggio. Era il 1994 e, abbandonato momentaneamente il bancone di Striscia la notizia, il conduttore vola in America per dirigere il suo primo film: Il Silenzio dei prosciutti. Oggi quella Spoofparodia, omaggio a titoli come Psyco, Il Silenzio degli innocenti e Basic Instinct, è ormai un cult e, a grande richiesta è uscito per la prima prima volta in Dvd grazie a Mustang Entertainment e Wolf Pictures, posizionandosi subito come il titolo più venduto (lo trovate qui, su CG Entertainment). «È incredibile. Sta andando davvero a mille. Sono già in ristampa e uscirà anche in Blu-ray. È una grande soddisfazione» ci racconta Ezio Greggio con cui abbiamo parlato anche della genesi del film, tra cameo di leggende del cinema, affetto dei fan, improvvisazione e stato attuale della commedia.
Lei è un grande appassionato di thriller. Proprio qualche giorno fa c’è stato l’anniversario per i 30 dall’uscita in sala de Il silenzio degli innocenti? È vero che l’idea per il suo film nacque dopo un’anteprima del film di Demme?
Sì, anche se l’idea del film nasce da due momenti. Quando da ragazzo vidi Psyco, mi colpì in maniera indelebile. Una delle mie aspirazioni era quella di interpretare Anthony Perkins in qualche situazione cinematografica parodistica. Poi vidi l’anteprima de Il Silenzio degli Innocenti e lì mi scatto l’idea. Stavo già lavorando a quello che si sarebbe dovuto chiamare Psyco Zero, un omaggio a Hitchcock e ai suoi film, ma stoppai tutto e cambiai la sceneggiatura pensando di far incontrare alcuni dei protagonisti di Psyco con alcuni dei protagonisti del film di Jonathan Demme. Ne è uscita questa storia folle. Ma è il film che volevo fare. Sono riuscito a fare una mega parodia che non è altro che un grande omaggio al cinema.
Regista, sceneggiatore, produttore e attore. Il silenzio dei prosciutti era il suo primo film. Come è arrivato a girare a Hollywood?
Andavo negli Stati Uniti da tanti anni. All’inizio frequentavo sopratutto la famiglia Corman – Julie fece la produzione esecutiva del film con me – e da loro imparai moltissime cose che potevano essermi utili nel realizzare un film che avesse l’aspetto di una produzione di altro budget quando in realtà ne avevamo uno molto contenuto. Mi fu molto utile frequentare la loro Factory. Poi negli anni ho sviluppato amicizie con tanti altri attori e registi. Si erano creati tutta una serie di presupposti, tra cui il rapporto nato da poco con Mel Brooks che fece un cameo divertentissimo nel film. Usciva dal Jack The Ripper Hotel con un coltello ficcato nella schiena. Una volta su un taxi chiedeva di essere portato in ospedale, ma l’autista partendo a tutta velocità gli faceva conficcare il coltello ancor più dentro la schiena. Era una gag di passaggio, avulsa dalla storia, ma che mi faceva molto ridere…
Su Instagram c’è una pagina gestita da fan dedicata al film. E l’affetto del pubblico continua a distanza di anni, da ogni parte del mondo…
È incredibile, ma è la realtà. Il film è diventato un cult. Venne distribuito in tutto il mondo. E poi ha continuato il suo viaggio in tv, VHS e DVD. È un classico nel suo genere. Il Silenzio dei Prosciutti aveva tutta una serie di elementi che rimandavano al thriller e all’horror e ancora oggi ci sono molto ragazzi che lo scoprono grazie al passaparola o a delle clip su YouTube. Tutti gli anni, da sempre, ho nuovi fan che mi scrivono da ogni continente. Mi raggiungono grazie ai social. L’uscita del film in DVD ha rinvigorito questo rapporto con loro e ha riportato il film a far parlare di sé.
Il Silenzio dei prosciutti ha un cast che definire stellare è riduttivo…
Oggi se lo sognano! Chiamai Mel e poco a poco arrivarono John Landis, Joe Dante, John Carpenter…Un cast pazzesco. Ma uno dei colpi più fantastici fu quando proposi a Martin Balsam di fare lo stesso ruolo che aveva fatto in Psyco. Lui rise come un pazzo, accettò e mi chiese: “Ma come lo chiamiamo? Detective Arbogast?”. Gli dissi che volevo chiamarlo Detective Balsam e la sua risata aumentò. Ricordo che non era in grande forma fisica. Aveva avuto un ictus e non muoveva bene un braccio. Ma nel film non si nota. Aveva anche dei problemi di memoria. Lo aiutai mettendo dei cartelli con le sue battute che poteva leggere ovunque. Ma c’è una storia che non credo di aver mai raccontato: quando andammo al montaggio per lui fu un altro mondo. Leggeva la battuta, poi guardava lo schermo e la ripeteva perfetta, a memoria, con un labiale precisissimo. Fu una sorpresa e una lezione di professionalità.
Parlando di parodie, in Italia chi le viene in mente?
Ci sono stati due personaggi fantastici, purtroppo dimenticati troppo in fretta, che facevano dei B o C movies e si chiamavano Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Usciva Il buono, i lbrutto, il cattivo e loro facevano Il bello, il brutto e il cretino. Avevano il gusto della parodia all’italiana. I produttori li prendevano e in sette giorni giravano un film. Erano delle operazioni commerciali che giocavano sulla loro capacità unica di creare delle maschere irripetibili. Ci fu un momento parodistico nel nostro cinema. Ma, dopo di loro, credo di essere stato l’unico ad aver percorso questa strada facendo questo film e, qualche anno fa, Box Office 3D. Un altro omaggio al cinema con tanti piccoli episodi che fu presentato in anteprima alla Mostra di Venezia diventando l’incasso più alto di quella stagione. Alla fine il Mel Brooks italiano sono io (ride, ndr).
Il budget del film era contenuto. Come affrontò le riprese?
Era un film non-union. Potevamo fare accordi con le troupe più elastici. Giravamo quattordici ore al giorno, anche di sabato. Siamo riusciti a contenere i costi anche così. E poi, tra i tanti segreti del cinema, ce n’è uno, la pre-produzione, che è essenziale. Dalla scelta delle location all’avere sempre i cover set pronti passando per un cast di attori disponibili. Di loro, l’unico che usciva dal seminato era Dom DeLuise che, come tutti i grandi comedian era un’improvvisatore. Facevamo una scena e aggiungeva una cosa, giravamo un terzo take e ne aggiungeva un’altra. Era fantastico!
Secondo lei il politically correct sta danneggiano commedia e satira?
Parlando di televisione, attraverso Striscia la notizia, credo di essere un esempio di rifiuto del politically correct. Se fai satira non puoi essere corretto politicamente verso una fazione o l’altra. Stessa cosa nella commedia o nel cinema in generale. Sono felice di essere uncorrect. Credo ci debba essere libertà di espressione. L’articolo 21 della Costituzione dice che abbiamo la libertà di esprimerci. E sopratutto chi fa il nostro mestiere non lo può fare per proteggere una fazione e andare contro un’altra. Altrimenti non fai un servizio né alla commedia né al giornalismo. Si deve avere la forza di raccontare le proprie opinioni fino in fondo.
Una parte della sua vita è legata al cinema, come attore, regista e Direttore del Montecarlo Film Festival de la Comédie. Lei oggi come guarda al cinema?
Sono uno spettatore che ama la sorpresa. Anche la prossima edizione del mio festival, che si terrà dal 30 maggio al 5 giugno, aprirà ai corti. Ai selezionatori ne arrivavano moltissimi e guardandoli scoprivo tanti talenti. Ne abbiamo selezionati alcuni meravigliosi che svelano futuri attori, produttori e registi. Sono uno spettatore attento. Non guardo solo i grandi film. Ho attenzione un po’ a tutto anche se, naturalmente, adoro la commedia. Durante il festival abbiamo fatto tanti dibattiti con Emir Kusturica, Claude Lelouch, Michael Radford o John Landis per cercare di capire dove stesse andando la commedia. Il cinema è sempre una grande scommessa e il pubblico è il giudice finale. Anche al di là dei critici che tante volte sparano a zero su film che poi diventano grandi successi…
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