MILANO – Emile Hirsch, chi era costui? Il rischio è che il suo nome rimanga nella memoria di Hollywood come il più grande talento inespresso del cinema americano. Le cause? Una vita sregolata e un carattere difficile, anche se pareva che debolezze di spirito e sbalzi d’umore fossero alle spalle grazie al talento interpretativo e alla sua infinita passione per il cinema, in modo particolare per Marlon Brando, idolo di sempre. A differenza di Josh Hartnett – che vi abbiamo raccontato in una delle nostre scorse puntate di Che fine hanno fatto – Hirsch è però apparso fin da piccolo in programmi tv come le serie cult per ragazzi Una famiglia del terzo tipo e Sabrina, vita da strega, prendendo presto confidenza con le set e show business.
Nel 2002, a diciassette anni, arriva il debutto sul grande schermo nel teen movie The Dangerous Lives of the Altar Boys al fianco del coetaneo Kieran Culkin, fratello di Macaulay, e della grande Jodie Foster. Basta poco e finisce subito nelle liste degli attori emergenti più celebrati dalla MTV-Generation, per merito soprattutto di una commedia pop dai risvolti peccaminosi come La ragazza della porta accanto. Dopotutto, siamo nel 2004 in piena era post-American Pie, anche se la cosa rilevante di quel film è vedere Hirsch a fianco di un altro futuro talento di Hollywood: Paul Dano.
Il salto di qualità arriva qualche anno più tardi: si chiama Lords of Dogtown ed è lo splendido film diretto da Catherine Hardwicke pre-Twilight, un inno adolescenziale al mondo dello skateboard, tra i miti di Stacy Peralta e Jay Adams e il sogno di riscatto di una generazione nata povera per cui le piscine vuote dei ricchi di Beverly Hills equivalgono allo spazio necessario per una rivoluzione in movimento. Emile fa coppia con un altro fuoriclasse, Heath Ledger, entrambi fratelli minori putativi di Kurt Cobain e River Phoenix, entrambi con un’innata tendenza all’anticonformismo e un’insofferenza naturale nei confronti dell’esistenza.
Per Ledger, lo sappiamo, la parola fine sarebbe poi arrivata troppo presto, mentre i tratti grunge del volto e dello spirito di Hirsch raggiungeranno il loro apice poco più tardi, quando arrivano Sean Penn ed Eddie Vedder a cantare il coraggio e l’anima ribelle, non riconciliata, di Chris McCandless alias Alexander Supertramp nel capolavoro Into The Wild. Il film è tra i pochi degli Anni Zero a poter essere considerato un simbolo generazionale e, parallelamente, la popolarità di Hirsch accresce notevolmente e sembra arrivato il momento definitivo.
La consacrazione, però, stenta ad arrivare. Perché? Nel 2008 Speed Racer sarebbe il suo biglietto definitivo per l’Hollywood che conta, un viaggio di sola andata nell’impero dei divi da sei zeri, ma è un sonoro flop, talmente clamoroso da non raggiungere nemmeno i 100 milioni di dollari di incasso nel mondo. Non basta poi l’ottimo Milk con il ritrovato Sean Penn – che vince il suo secondo Oscar per quel ruolo – perché poi anche Le belve di Oliver Stone finisce male. Emile arriva anche in Italia e lavora con il nostro Sergio Castellitto nell’ambizioso Venuto al mondo a fianco di Penélope Cruz, ma non è sufficiente per rilanciare una carriera che pareva destinata ad altro.
Però non tutto è da buttare, anzi, andate a spulciare nella sua filmografia perché negli anni più recenti di mancata esplosione, oltre al bizzarro The Motel Life (con Stephen Dorff, Dakota Fanning e Kris Kristofferson) merita di essere recuperato almeno il delizioso Prince Avalanche di David Gordon Green, inedito da noi, una bromance con Paul Rudd fuori dai canoni tradizionali e un ritratto aspro ma ruspante della provincia americana, remake di una commedia islandese con colonna sonora firmata addirittura dagli Explosions in the Sky.
Una carriera come una montagna russa, fino all’episodio privato e professionale più dannoso per Emile Hirsch, che risale al 2015, in occasione della presentazione al Sundance di un altro inedito, 10.000 Saints, a fianco di Ethan Hakwe. Durante un party l’attore, palesemente ubriaco, aggredisce la produttrice Dani Bernfeld. Dopo un breve periodo in carcere, prova a ripartire da capo con Billie August in Era mio nemico (produzione cinese, inedito assoluto, girato in mandarino, questo lo trovate in Italia solo in streaming qui) e in produzioni indipendenti, come il fantascientifico Freaks e il recentissimo Peel.
Tra le altre cose girate, se amate Hirsch, recuperate anche il suo viaggio a fianco di J.K. Simmons in Suocero scatenato (anche questo su CHILI), brutto titolo per All Nighter, commedia in cui interpreta il fidanzato di una ragazza con un padre molto ingombrante. I duetti tra Hirsch e Simmons valgono da soli la visione del film: «Allora suoni l’ukulele». «No, in realtà il banjo». «Ah, ok. Come Kermit la rana». «Beh no, in un vero gruppo bluegrass, non cose finte come i Mumford and Sons». «Cos’hai contro i Mumford and Sons? Sono bravi».
A vent’anni dai primi passi in tv e dopo i molti alti e bassi, adesso la vita professionale ha anche offerto a Emile Hirsch una seconda possibilità, l’ennesima: lo abbiamo visto tra i protagonisti (non si vede moltissimo in realtà) di C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino, in cui interpreta Jay Sebring, il celebre stylist di Hollywood tra le vittime della strage di Manson del 9 agosto 1969. In fondo, proprio come il suo Jay Adams di Lords of Dogtown, è bello pensare che dopo l’ennesima rovinosa caduta per terra sia arrivato finalmente per Hirsch il momento per rialzarsi e ora il prossimo capitolo si chiama Midnight in the Switchgrass a fianco di Bruce Willis. Staremo a vedere.
- Che fine hanno fatto | Josh Hartnett
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