«L’arte è di chi la trova», dice un giovane Fabrizio De André al fratello dopo aver rubato, tra i vicoli genovesi, un 45 giri di Jailhouse Rock. In copertina, Elvis con un maglione rosso e tra le braccia la sua chitarra. Ed è così che ritroviamo, di spalle, il cantautore interpretato da Luca Marinelli sulla locandina di Fabrizio De André – Principe Libero, la seconda puntata in onda su Rai 1 questa sera, 14 febbraio. Un biopic diretto da Luca Facchini, anche sceneggiatore con Giordano Meacci e Francesca Serafini, già membri, insieme a Marinelli, della Banda Caligari di Non essere cattivo. Un titolo ispirato ai versi del pirata inglese Samuel Bellamy: «Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare», parole scelte da De André per le note di copertina de Le nuvole, disco del 1990.

Proprio la libertà – artistica e personale, inseguita e negata – rappresenta il trait d’union del film. Oltre tre ore di girato in cui vengono condensati quarant’anni di vita di Faber. Si parte dal rapimento in Gallura per tornare alla Genova del 1954. In mezzo, gli anni della formazione, del rapporto conflittuale con il padre Giuseppe (Ennio Fantastichini), delle puttane materne dei caruggi, dell’alcool, degli amici, di Puny (Elena Radonicich) e Dori (Valentina Bellè), del successo e della paura. Fabrizio De André. Principe Libero mira così a raccontarne la vita attraverso i rapporti personali e familiari lasciando spesso il lavoro ed il pensiero artistico sullo sfondo. Una più che buona produzione televisiva per il pubblico ed il medium per il quale è pensata, come ottime sono le prove degli interpreti. Rappresentazioni e non interpretazioni – su tutte quella di Marinelli – come ci hanno tenuto a sottolineare sceneggiatori ed attori.

Qui risiede la dualità della produzione. Da un lato, un film dal taglio televisivo e con regia e struttura lineari (eccezione fatta per la sequenza iniziale), dall’altro «un racconto inventato dal vero», come scrivono gli sceneggiatori. Sintesi ed evocazione di volti ed episodi che hanno attraversato la vita di Faber, con risultati più o meno convincenti. E allora, in virtù di quel rielaborare e distorcere la realtà propri anche delle canzoni di De André, perché non azzardare fino in fondo? Non è un caso se pellicole biografiche recenti come Jackie o Steve Jobs, frammentino, mescolino o sezionino il racconto sotto il duplice profilo visivo e narrativo (co)esistendo in equilibrio. Perché se è vero come dice Faber che «la magia la crei con i versi», qui la regia ha più il sapore della prosa.
Ecco il trailer del film:
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