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Corpo e Aria | Un cortometraggio sospeso tra magia, rinascita e rivelazione

Cristian Patané racconta il cortometraggio presentato tra Bogotà e Santa Barbara

Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria
Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria

PALERMO – In quel campo/controcampo rivelatore nel climax di Corpo e aria di Cristian Patané c’è un momento specifico. Un primo piano intenso e “tenuto” dall’inquadratura per oltre un minuto dove nella mimica di Selene Caramazza ci si legge sbigottimento, incredulità, e quasi una nota amara di irrealtà, come se tutto quello che stiamo vedendo in immagine sia frutto di un desiderio impossibile. Parliamo del resto di un high-concept compatto, fotografato dalla mano preziosa di Daniele Ciprì, che senza nemmeno una linea dialogica se la gioca tutta in sottrazione dando sfogo alle suggestioni e al significato spontaneo delle immagini nel raccontare della meccanica della routine di una necrofora che si inceppa – proprio come la musica forsennata in sottofondo – quando c’è di mezzo il “cuore”.

Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria
Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria

Non stupisce più di tanto vedere come il lavoro di Patané – una delicata riflessione sul binomio corpo e anima oltre l’esistenza fisica – sia passato per il Corto Dorico Film Festival, il Bogoshorts (Bogotà Short Film Festival), il Sanfici (Santander Festival Internacionale de Cinema Indipendiente) nonché il Santa Barbara International Film Festival. In un’edizione, quella di quest’anno della kermesse californiana, che ha visto brillare un altro orgoglio tutto italiano: La tana, di Beatrice Baldacci. In Corpo e aria c’è infatti passione, mestiere, intuizione registica, e l’appartenenza a un cinema che vive di misteri e domande insolute.

Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria

LA GENESI – «La genesi di Corpo e aria è accaduta in due momenti distinti della mia vita. La prima volta quando ero al liceo. Il mio miglior amico morì per un incidente domestico. Vidi il suo corpo inerte, poco dopo che il cuore aveva smesso di battere. Quell’immagine mi ha accompagnato per il resto della mia vita. In quel momento, attraverso il dolore, è nata la necessità del racconto. Il tempo mi ha fatto maturare la necessità di quel racconto e la vita me ne ha proposto gli indizi. Infatti è accaduta una seconda genesi, ovvero quando le esperienze ti si ripropongono come idee artistiche. Nello specifico: stavo sul set di una serie, facevo da assistente alla regia, e si stava preparando una scena dentro un obitorio. Lì la mia memoria emotiva si è accesa e mi è venuta l’idea di raccontare la storia di un’agenzia di pompe funebri familiare».

Cristian Patanè durante le riprese di Corpo e aria
Cristian Patanè durante le riprese di Corpo e aria

UN DRAMMA – «Questa esperienza ha riscritto Corpo e aria con una visione precisa. Da una parte si erano connessi tutti i punti nel mio inconscio, dall’altra parte ero “inciampato” su qualcosa di straordinario: vedere la realtà del corpo morto, nel suo aspetto orribile, e scoprirne la bellezza. Non credo sia molto leggibile questo concetto se non da chi ha accompagnato da vicino il corpo di un caro nelle ritualità della morte. Ho voluto riproporre quel certo momento, quel sentimento, quel modo di sentire il tempo. Ci sono film horror che mostrano nel dettaglio un’autopsia, ma questa è un’immagine lontana dal nostro film, sia concettualmente che esteticamente. Questo corto non è un corto di genere, è un dramma. Ho scelto di mostrare la morte in maniera “spudorata” ma onesta, reale e onirica come la contraddizione intrinseca che distingue quel momento del corpo».

Selene Caramazza durante le riprese di Corpo e aria
Selene Caramazza durante le riprese di Corpo e aria

IMPARARE – «Ho imparato come essere connesso al film con la pancia prima ancora che con il cuore e la testa. È un consiglio prezioso che mi è arrivato da alcuni amici registi più esperti. Inoltre sul set mi sono divertito come un bambino. È incredibile quanto sia stato liberatorio. Certo quello che era in scena era “gravoso” per tutti sul set, però eravamo connessi e partecipanti: processavamo e liberavamo “ciò che ci riguarda” in quello che si stava creando. Ci siamo divertiti. In fondo il cinema è un gioco, molto serio, ma è un gioco».

Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria
Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria

GIRAMONDO SPIRITUALE – «Purtroppo, con l’emergenza COVID da una parte e gli impegni di lavoro dall’altra, non sono riuscito ad essere presente in nessuna delle proiezioni oltreoceano. È stato comunque un viaggio “psichico” inaspettato. Non credevo che qualcuno del pubblico si potesse prendere la briga di contattarmi per descrivere sensazioni dopo la visione di Corpo e aria. Mi stupisce ogni volta che accade. E mi fa ricredere sul senso dei social, ma anche sul perché si debbano girare i corti. Il cortometraggio è uno spazio espressivo libero, in fondo senza regole validanti in cui puoi scoprire il cinema che ti abita, sperimentare, innovarti, anche attraverso i limiti che il formato ti impone. Chi fa i corti si può sfidare, senza alibi, a prescindere dall’esperienza e dai mezzi che ha a disposizione. I festival sono il posto in cui i corti trovano il pubblico di tutto il mondo. Ogni festival che seleziona il corto ti dà la conferma che si è fatto un bel lavoro».

Selene Caramazza e Francesco Colella in una scena di Corpo e aria

L’IDEA DI CINEMA – «I film belli ti connettono alla vita e te la cambiano, in qualche modo, intimamente. Lo stesso accade per chi fa i film: quando capita che siano belli, ti cambiano la vita».

FILM PREFERITO – «Non so, a me basta che un film abbia qualcosa di bello per consigliarlo: a volte può essere anche un piccolo gesto che fa un attore, qualcosa di piccolo e specifico che mi emoziona. Certo, ho le mie preferenze, ma anche quelle sono troppe! In Italia almeno uno l’anno da 100 anni lo abbiamo fatto: è nel nostro DNA. Credo che qui da noi si facciano dei film bellissimi, nuovi e abbastanza liberi dalle nostalgie del passato, come Lazzaro Felice di Rohrwacher, Martin Eden di Marcello, L’Attesa di Messina, Favolacce dei D’Innocenzo, Le quattro volte di Frammartino. C’è tanta vitalità e diversità nel nostro cinema, per un pubblico più e meno “cinephile” che vuole ancora emozionarsi in sala. Inoltre amo molto le opere prime. Ce ne sono alcune che racchiudono dentro una forza, una maturità, una necessità innovatrice più grande dell’autore stesso come i Pugni in tasca di Bellocchio, Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco, Accattone di Pasolini, Banditi a Orgosolo di De Seta… e stiamo parlando solo dell’Italia! Amo il cinema italiano! Confesso però che, in un immaginario cinema che propone un film di Paul Thomas Anderson e i film dei contemporanei registi nostrani da Oscar/palmati e gongolati, preferisco un film di PTA!».

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Qui sotto potete vedere il trailer del corto:

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