ROMA – «Tu consideri questo mondo come un sogno che si avvera. Ma ti sbagli». Alzi la mano chi almeno in un’occasione si è ritrovato a colpevolizzare il gatto, trovandosi invece d’accordo con i desideri finalmente esauditi di Coraline. Poiché è semplice di fronte ai capricci, prendere posizione. Cosa accade invece, quando la fuga risponde ad un’evidente carenza d’affetto, o addirittura ad una condizione di abbandono? L’incapacità di scegliere e stabilire concretamente cosa sia giusto e cosa invece sia sbagliato. Ecco perché la necessità di rifugiarsi “nell’altrove”, non può che assumere immediatamente una doppia valenza, che è salvifica e malvagia al tempo stesso. Il gatto nero e vagabondo di Keith David, infatti, prova più e più volte ad avvertire la piccola Coraline Jones (Dakota Fanning), rispetto ai pericoli tangibili eppure seducenti di Pink Palace.
La grande casa vittoriana, che situata nel bel mezzo del nulla, rappresenta per la famiglia Jones, l’ultima possibilità di sopravvivenza e fuga dalle dinamiche di vita e poi professionali, presentate dalle grandi città. Eppure Coraline, in preda ai sentimenti d’abbandono e trascuratezza, derivati in primo luogo dalla scelta d’isolamento forzato e dopo, dalla mancata cura dei genitori, non può che evitare cocciutamente l’ascolto di chi, come il gatto, vive a Pink Palace da molto più tempo di lei. Quest’ultimo, infatti, sospeso tra due mondi; quello del reale – complesso e spesso solitario – e quello dell’oscurità, apparentemente attrattivo, eppure demoniaco; non può far altro che tentare di porre la dovuta distanza, tra i giovani smarriti e la tentazione più semplice e gioiosa. Dunque la vita oltre la vita e il mondo dei bottoni, pur consapevole di non essere ascoltato mai, se non in rare occasioni.
Poiché la porta magica è decisamente più attrattiva e misteriosa di un gatto parlante, ma solo se considerata tale. La magia, infatti, giunge a conclusione, quando i suoi elementi perdono di brillantezza e la realtà prende il sopravvento, dando il giusto nome ad ogni cosa. Perfino a quella porta – o portale -, che dà il titolo al film e che la piccola Coraline, si convince di dover aprire e varcare. Henry Selick, che ha diretto il film e Neil Gaiman, che ne ha scritto il romanzo di partenza, lo sanno bene. La porta non è magica, piuttosto oscura, ossessiva e mortifera. Nell’altrove celato dal portale, infatti, prende vita un’ideale di realtà, che è però inevitabilmente una mera rappresentazione della stessa. Dunque un macabro e spaventoso teatrino di marionette e morte, animato da chi vorrebbe convincerci, che la perdizione sia cosa ancor più curiosa del ritrovare sé stessi nella vita, per quanto dolorosa, solitaria e incompresa possa essere.
Si potrebbe ragionare poi, sulla riflessione sotterranea e angosciante, relativa al buio delle dipendenze – il portale diviene tunnel nella conclusione del film, quella più direttamente orrorifica e adulta -, dalle quali sembrerebbe difficile, se non addirittura impossibile sfuggire. Poiché apparentemente salvifiche, eppure letali. Pur avendone piena consapevolezza, la possibilità della fuga, risulta capace nella maggior parte dei casi, di spargere nebbia e caos su di essa. Le ombre della morte non sono celate soltanto oltre le porte magiche del cinema d’animazione, ma anche e soprattutto nei luoghi fisici e mentali della vita, dai quali se siamo fortunati, riusciamo a fuggire, restandone altrimenti vittime. Proprio come le presenze sinistre e fanciullesche, nelle quali Coraline si imbatte una volta sprofondata nell’oscurità del limbo: «Non ricordiamo i nomi. Ma io mi ricordo la mia vera mamma».
Gaiman e Selick non vanno granché per la leggera, non intendono, infatti, visualizzare quel lenzuolo che copre le giovani anime, come velo di protezione e speranza, piuttosto come nascondiglio ultimo della morte. Che non si è semplicemente annullata, piuttosto dimenticata e lasciata lì a riflettere ancora e per sempre. Destinata inevitabilmente a piangersi addosso, a causa delle istintive e infantili scelte tipiche della vita, le stesse che la morte ha rapidamente annullato. È rapido il passaggio di Coraline per il regno degli inferi, eppure decisivo, poiché: «Niente c’è qui. È la parte vuota di questo mondo. Ha creato solo quello che poteva impressionarti». Guardando all’umorismo e al realismo cupo, grottesco e gotico tipicamente Burtoniano; poiché è noto l’amore per la produzione letteraria di Shirley Jackson, Edgar Allan Poe, Horace Walpole e inevitabilmente Stephen King, da parte del leggendario autore di Beetlejuice Beetlejuice, Il mistero di Sleepy Hollow (che qui torna in più occasioni) e La sposa cadavere (altro grande titolo firmato Laika Entertainment), solo per citarne alcuni.
Henry Selick, si ritrova sospeso tra più forme di racconto, voci e idee di cinema. Le stesse, o quasi, che il romanzo di Neil Gaiman permette d’incontrare e visualizzare a più riprese. Colte immediatamente da Selick, a dimostrazione di un’unione che convince fortemente, poiché figlia della medesima sensibilità e stilistica autoriale, senz’altro resa tale e concreta dall’impeccabile team della Laika Entertainment. A distanza di quindici anni dall’uscita nelle sale, Coraline e la porta magica, la favola cupa, adulta e definitivamente sinistra di Henry Selick, torna al cinema come evento speciale con Nexo Digital dal 31 ottobre al 3 novembre, mostrandoci ancora una volta la visione feroce e macabra del duo Selick/Gaiman. I quali non smettono mai d’osservare il mondo reale, come un angolo buio, dimenticato e spaventoso. O altrimenti come ultimo possibile baluardo di resistenza al dolore, dunque di vita, che è ad ogni modo disperata, solitaria, piovosa e relegata ai margini.
Basti pensare al povero Wybie, che è già morto, ma ancora non lo sa. O ancora a Sergei Alexander Bobinsky, l’uomo dei topi, che vive nascosto in una soffitta, scegliendo di mostrarsi raramente. L’unico uomo capace di dialogare con gli animali e forse perfino con il regno dell’aldilà. E ancora Mrs. Spink e Mrs. Forcible, intrappolate dal peso di un corpo, che le costringe tristemente all’immobilità. È una favola, altrimenti detta incubo, questa, che avrebbero potuto scrivere a quattro mani Stephen King e Nick Cave. Chi conosce il Cave autore – E l’asina vide l’angelo – certamente sa. «Perché siete qui? Si è mangiata le nostre vite». Fuggiamo ancora dal tunnel oscuro e angosciante della solitudine e della disperazione.
Facciamolo insieme a Coraline. Il male non arresterà la sua corsa. Non resterà celato per sempre oltre quella porta dimenticata, ma come scrive Stephen King: «Parti e cerca di continuare a sorridere. Trovati un po’ di rock and roll alla radio e vai verso tutta la vita che c’è con tutto il coraggio che riesci a trovare e tutta la fiducia che riesci ad alimentare. Sii valoroso, sii coraggioso, resisti. Tutto il resto è buio».
- LONGFORM | Beetlejuice Beetlejuice, il ritorno di Tim Burton
- HOT CORN TV | Coraline e La Porta Magica, il trailer:
Lascia un Commento