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Carosello Carosone? Un film capace di raccontare un mito. Con una sorpresa: Eduardo Scarpetta

Rivedere Carosone? Sì, è possibile. Ecco perché il film RAI di Lucio Pellegrini convince e appassiona

Carosello Carosone
Carosello Carosone

ROMA – Sciogliamo subito i dubbi, e ovviamente ce n’erano: proprio com’era Renato Carosone, il film tv a lui dedicato e diretto Lucio Pellegrini (nonché prodotto da un marchio di garanzia, Groenlandia) è elegante, appassionato e divertente. A tratti anche liberatorio, che di questi tempi oscuri non è affatto una qualità secondaria. Insomma, che Carosello Carosone sia un’opera decisamente riuscita (che si lega ai dettami del formato televisivo, ma quello che insegue la qualità e non certamente l’approssimazione) lo capiamo quasi da subito, guardando le facce perfette dei due protagonisti, spaesati ma euforici prima di suonare nel tempio della musica mondiale: il Carnegie Hall di New York City, a due passi da Columbus Circle.

Carosello Carosone
Eduardo Scarpetta è Renato Carosone. Foto Credit: Andrea Pirrello

Nel ruolo di Carosone ecco Eduardo Scarpetta, in quello di Gegè, batterista e amico fraterno, Vincenzo Nemolato. Volti perfetti e talento puro, a cui si aggiunge un’altra star del cinema contemporaneo italiano, ovvero Ludovica Martino, nel ruolo non facile di Lita, compagna di Carosone di cui, negli anni, ci sono state poche notizie. Quello che viene fuori dal film di Pellegrini, infatti, è sì il profilo artistico del più grande cantante italiano (probabilmente insieme a Domenico Modugno e Battisti) ma anche un tracciato sull’uomo. Un uomo sincero e, appunto, riservato, idealista, rivoluzionario, quel Carosone che amava in modo puro la musica, che amava la sua bellezza e che intrecciava l’amore per Napoli e l’amore per gli Stati Uniti, così da mischiare nel sound il jazz e la tarantella, la musica popolare partenopea e lo swing.

Carosello Carosone
Ludovica Martino e Scarpetta. Foto Credit: Andrea Pirrello

«Comme fanno a Santafé. Comme fanno ad Hollivud, E cu sta scusa, oi nè, nun studie cchiù!», cantava nella trascinante Torero, inserendo richiami africani e il cha cha cha; quell’Africa che, vediamo nel film, ha giocato un ruolo fondamentale nell’avventura di Carosone, diventando uno dei primi (grandi) che hanno avuto il coraggio di lasciare l’Italia, coltivando quell’innata ambizione e quell’incredibile talento che fece da colonna sonora al Boom degli Anni Cinquanta. Una colonna sonora vitale, nuova ed eclettica. Capace di risvegliare – ci dice il film, accompagnato anche dalle musiche originali di Stefano Bollani – quell’Italia intorpidita da i due lunghi conflitti mondiali, e che trovò in Carosone la metafora perfetta per la rinascita e per il grande sogno.

Vincenzo Nemolato e Eduardo Scarpetta in Carosello Carosone. Foto Credit: Andrea Pirrello
Vincenzo Nemolato e Eduardo Scarpetta in Carosello Carosone. Foto Credit: Andrea Pirrello

Così, la sceneggiatura di Carosello Carosone, firmata da due autori come Giordano Meacci e Francesca Serafini, diventa una riflessione su quanto la passione e l’amore siano elementi necessari per diventare leggenda. Una leggenda come Renato Carosone, nato a due passi dal colore e dall’estro di Piazza del Mercato, e manifesto di leggerezza e ironia, ritratto e ricordato con onestà e affetto dal film di Pellegrini, bravo ad alzare notevolmente il rapporto (spesso discutibile…) tra qualità e il pubblico generalista da prima serata. E il messaggio finale di Carosello Carosone, allora, diventa essenziale: grazie al lavoro e all’impegno ci si può affermare anche nei contesti più complicati, diventando contemporaneamente rivoluzione e tradizione. Tu vuo’ fa’ l’americano, ‘mericano, ‘mericano, ma si’ nato in Italy...

  • Qui l’intervista ad Eduardo Scarpetta e Ludovica Martino:

Qui invece l’intervista a Lucio Pellegrini e Vincenzo Nemolato:

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