ROMA – Insieme ai Subsonica ha stravolto il volto dell’industria musicale italiana. Da solista, con La stanza intelligente, Facile e Post Piano Session, ha sperimentato tra featuring, pianoforti ed elettronica. È, tra le sue tante anime artistiche, musicista, produttore, scrittore e compositore. Abbiamo contattato telefonicamente Davide “Boosta” Dileo proprio per parlare di quest’ultima sua veste. Dopo le colonne sonore di Fighting Paisanos di Marco Cirti, Ho visto cose di Chiara Pacilli e la serie 1992, Boosta ha ora firmato le musiche de La Prima Regola di Massimiliano D’Epiro nel quale compare anche un brano, Come un sasso, realizzato insieme a Violante Placido. Ma la nostra chiacchierata è stata anche l’occasione per parlare di insegnamento – «Mi piace molto condividere. Meno insegnare, perché ritengo di non avere tanto da insegnare» -, del suono di Torino, di The Knick, Nara Ephron e di un cofanetto de La Pantera Rosa…
Com’è nata la colonna sonora de La Prima Regola?
Massimiliano ha ritrovato nel cassetto suo e di Violante un pezzo, Come un sasso, che avevamo fatto insieme ma che avevo praticamente dimenticato. Era una collaborazione di qualche anno fa poi rimasta lì solo per il piacere di fare musica e non abbiamo mai più dato vita a null’altro. Lui stava girando il film e mi ha chiamato dicendomi che avrebbe voluto usare il brano. Poi, mentre ne parlavamo, mi ha detto che gli mancavano due o tre temi. Così mi sono proposto di scrivere qualcosa perché fare musica per immagini è una cosa che mi appassiona da sempre. Da lì è nato tutto in poco tempo. Per combinazione stavo uscendo con il mio disco. E siccome avevo letto la sceneggiatura e avevo capito di cosa stavamo parlando, abbiamo fatto un lavoro ibrido. A Massimiliano sono piaciute un po’ di cose che gli ho fatto sentire, colori musicali che erano dentro questi sei dischi che sto facendo uscire. Mancavano delle parti e mi sono messo a disposizione molto volentieri nello scriverle ed è venuta fuori la colonna sonora del film…
Hai scritto su delle immagini o basandoti sulla sceneggiatura?
Massimiliano mi ha mandato un po’ di pre-montato e delle immagini e su quelle immagini ho lavorato. Ma anche se leggi una sceneggiatura in automatico hai facilità a crearti delle immagini in mente. È qualcosa che facciamo tutti. Siamo tutti registi di quello che leggiamo. Poi è vero che l’occhio del regista è sempre un altro ma non credo che ci sia una connessione più veloce tra lettura, quindi pensiero, e immagine.
“Un insegnante che non ispira nell’alunno il desiderio di imparare sta martellando ferro freddo”. Una frase citata ne La Prima Regola. Tu che sei stato insegnante, sei d’accordo?
Sì, e te lo dico da alunno perché sono tornato al conservatorio a Torino anche io. Da alunno posso dire che la sento così. Da insegnante sono molto d’accordo ed è questo il motivo per cui non insegno. Perché non sono capace di insegnare (ride, n.d.r.). Sono capace, credo, di avere una discreta capacità di racconto, una grande empatia e voglia di condivisione. Sono convinto che la mia pratica minima di insegnamento non sia solamente in termini di nozioni ma in termini di condivisione. Quindi condivisione del gesto primordiale, del ragionamento, del sentimento. Di quello che faccio io non sono mai geloso e mi piacerebbe condividerlo perché nella mia vita è stato proprio così. Ci sono state persone che magari non sono state capaci di insegnarti le cose ma vedendole lavorare, a volte, si ha l’intelligenza e la voglia di imparare o esattamente è quello di cui hai bisogno in quel momento. E così tu prendi. Questo è quello che mi sento di essere in grado di dare e che so dare. Mi piace parlare con i ragazzi, mi piace fare le masterclass ma non sono un tecnico. Perché se faccio una cosa è talmente inconscio il ragionamento che mi porta dal pensiero al suono che non ho la capacità di spiegarti perché lo faccio. Però se vuoi sederti al mio fianco, vuoi che ne parliamo insieme e vuoi chiedermi delle cose, sono molto disponibile. Mi piace molto condividere. Meno insegnare, perché ritengo di non avere tanto da insegnare.
Quali sono i compositori di ieri e di oggi che ammiri?
Parto dal classico, nel senso che per me un compositore come lo è stato Henry Mancini, nella parte più narrativa di racconto e commento alle immagini, è insuperabile. Detto questo ci sono tutta una serie di compositori di musica acusmatica ed elettroacustica che negli anni Sessanta e Settanta hanno rivoluzionato il concetto di colonna sonora. Il cinema e il suono hanno sempre lavorato insieme da quando sono nati. Tant’è che con la colonna sonora c’è anche questo matrimonio meraviglioso perché un tempo era un pezzo di pellicola. C’è una giuntura talmente forte che le immagini sono state colonne sonore a loro volta. Penso a quando il cinema era muto. C’è un breve film su Parigi, credo dell’inizio degli anni Venti, che nonostante fosse muto aveva un montaggio estremamente musicale.
E poi?
Da lì il percorso è stato infinito. Ho avuto tutte le mie passioni: più americane e meno americane, più alternative e meno alternative. Tra gli ultimi amo tantissimo Colin Stetson che trovo un musicista meraviglioso, e Cliff Martinez. Lui è veramente fantastico anche per la capacità distopica di legare un’immagine così retrò come quella di inizio Novecento in The Knick con una musica estremamente contemporanea. Ha un valore importante, cioè ci insegna e ci spiega che al netto degli strumenti che usi, a meno che tu non voglia essere veramente didascalico, è il risultato che poi ti porta l’enfasi rispetto alle immagini. L’utilizzo della musica elettronica nella New York dei primi del Novecento lo trovo davvero geniale, incredibile e non fuori luogo. È questa la cosa sorprendente. Vedi una cosa così e non rimani fuori dal coinvolgimento perché ormai l’elettronica fa talmente tanto parte del linguaggio da diventare una chiave universale dei sentimenti: ansia, tensione, rilassamento, rabbia.
Quando vedi un film riesci a non farti “distrarre” dalla colonna sonora?
Credo che la colonna sonora sia uno strumento di amplificazione di quello che stai guardando. Quindi, se è veramente tarata bene, la maggior parte del tempo non te ne accorgi. Perché sei talmente dentro la storia, la musica è talmente connessa a quello che stai guardando o comunque ti accompagna con un gesto gentile senza fartela sentire che è la cosa più bella che puoi scoprire. Certo, è molto bello quando sono talmente fuse insieme che la musica può prendere il predominio della scena. E quindi, dal momento in cui ci sono o bellissime canzoni nel punto giusto o grandi ambientazioni sonore, ti rendi conto che inconsciamente la pellicola sta un passo indietro o comunque si mette a disposizione e la musica diventa comprimaria di quello che stai guardando. Credo che quello sia davvero il mix perfetto e tendenzialmente se una colonna sonora è fatta bene sai che c’è però devi porci attenzione. Il che non vuol dire che siano solamente suoni. Però è talmente tutto al posto giusto che è come se tu stessi mangiando qualcosa e ti volessi accorgere solamente di un gusto. Se c’è troppo o troppo poco sale, troppo o troppo poco zucchero, probabilmente vuol dire che la ricetta non è cucinata bene.
Qual è il cinema che ti ha formato?
Sono del ’74. Ho iniziato a suonare giovanissimo ed era un’epoca in cui si andava ancora al cinema. I film non li potevi vedere su 200 piattaforme (ride, n.d.r). Sono anche quello che ha vissuto la prima rivoluzione dell’homevideo, quella del VHS, e quindi del Blockbuster. Anche quello è stato un capitolo interessante di vita di tutti quanti ormai nel dimenticatoio. Modernariato da collezione. Avendo una certa età sono cresciuto e ho attraversato diverse fasi. Ne ho avute due in particolare: quella da maschio testosteronico legata ai film d’intrattenimento. Tante volte ho giocato sul fatto di essere un mujaheddin dell’intrattenimento perché il punteggio di una pellicola doveva essere in base ai bossoli lasciati a fine riprese sul marciapiede. Perché quando sei piccolo con gli amici ti guardi i film con Schwarzenegger, i vari Cobra e Marion Cobretti del caso. Poi, una volta cresciuto un po’, mi sono appassionato incredibilmente alla commedia americana. Lì è stato un viaggio bellissimo perché anche la parte di suono diventa fondamentale. E se potessi rinascere sceneggiatore vorrei rinascere Nora Ephron.
Torino ha da sempre un ruolo centrale nel tuo percorso artistico. Se fosse una melodia, quale sarebbe?
Potrebbe essere una ballad o comunque un pezzo mid-tempo perché questa non è una città che corre come Milano ma non è neanche una città lenta. È come se fosse una canzone, in alcuni momenti c’è un’armonia perfetta ma c’è sempre qualcosa sotto, che non è stonato, ma è un elemento disturbante. Però in musica tutto il suono, quindi anche gli elementi disturbanti, diventano narrativi e servono ad alzare o abbassare la tensione. Nel momento in cui non c’è più il disturbo magari riparte tutta un’altra parte di suono che inconsciamente ti rilassa. E forse questo è il motivo per il quale a Torino, nel corso dei secoli, sono passati tanti artisti e molte persone fanno le cose da queste parti e le fanno bene. Probabilmente perché qui non c’è stata, oltre quella automobilistica, una vera grande industria. Se sei nato qui hai sempre avuto bisogno di lavorare per andare fuori, per farti sentire. Forse un pochino più che in altri posti. Penso a città in cui l’industria musicale e cinematografica sono più radicate. Motivo per cui, magari, c’è più facilità o c’è stata più facilità di incontri fortunati, perché sono anche quelli a fare questo mestiere.
Cosa significa per te fare questo mestiere?
È come fare l’alchimista. Più o meno sai quali sono gli ingredienti della pozione ma si devono incastrare una serie di combinazioni. Fare arte è alchemico, fare una colonna sonora lo è altrettanto, così come mettersi a disposizione di un film o riuscire ad avere la possibilità di entrare in questo ambiente. Quando faccio questo discorso penso a tanti ragazzi molto bravi che magari hanno difficoltà o non sono ancora riusciti a trovare una via per emergere. E quando dico emergere non intendo diventare famosi ma vivere di quello che amano. Perché credo che il successo più grande dell’esistenza di tutti noi sia poter vivere con quello che amiamo. Fare quello che ami vuol dire avere grande successo. La popolarità è un corollario: va e viene, si alza e si abbassa, sparisce e ritorna. Non è un problema perché è una conseguenza della possibilità di vivere di quello che ami.
Con i Subsonica, oltre alla musica, avete contribuito all’arte del videoclip in Italia. Ci sono vostri video ai quali sei particolarmente legato?
Uno è quello di Istrice perché forse è il più filmico, con più racconto. Ed è anche, riprendendo il discorso di The Knick, quello più lontano perché alla fine Istrice sembra a parvenza di canzone d’amore e poi c’era un video dell’orrore. Una dicotomia secondo me molto bella e mi piace ancora adesso. E poi sono legato a Istantanee perché è stata la prima volta che ci siamo lasciati riprendere da una videocamera e abbiamo girato un videoclip. Da lì sono iniziate tantissime cose.
Ti piacciono i film musicali?
Non sono un iperfan. Credo che alcune volte siano molto belli e penso, ad esempio, a Rocketman. L’ho trovato graziosissimo e mi ha fatto venire voglia di riascoltarmi tutto Elton John. Credo anche che siano il bignami delle grandi biografie. E una delle biografie che ho amato di più nella vita, Dino, uscì anni anni anni fa per Baldini e Castoldi ed era dedicata a Dean Martin. Lo trovo un libro strepitoso, a parte il fatto che la sua vita è stata un film alla quale lui ha aggiunto ampiamente del suo. Per me è difficile tradurre tutta la densità della vita di qualcuno in una pellicola. Detto questo mi piacciono i film con la musica. O le serie. Penso che The Get Down sia stata una delle cose più belle che abbia visto negli ultimi dieci anni. Ancora adesso, ogni tanto, riprendo parti di episodi e me li riguardo. Mi lasciano la stessa identica sensazione di entusiasmo. E questo è bellissimo.
Hai un film in cui ti rifugi?
Oggi non c’è un film in cui mi rifugio. Mi è capitato negli anni. E la prima cosa, senza pensarci, che mi viene in mente è il cofanetto in DVD de La Pantera Rosa. Ci andavo matto! Li avrò guardati 900 volte l’uno e li trovavo così belli, così delicati e intelligenti. Quindi se dovessi portarmi un salvavita in forma video probabilmente sarebbe quel cofanetto.
C’è un film che ha visto recentemente che ti ha colpito? E quale consiglieresti ai nostri lettori?
Ultimamente non ci sono film che mi abbiano particolarmente entusiasmato. Per un pubblico più giovane andrei a riprendere A piedi nudi nel parco. Nel momento in cui il concetto di empatia e di relazionarsi con gli altri è un pochino traballante forse mi andrei a rivedere una commedia così…
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Qui sotto potete ascoltare la colonna sonora de La Prima Regola di Boosta:
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