ROMA – Blitzkrieg, altrimenti detta guerra-lampo. Qui nasce Blitz, il sesto lungometraggio da regista del britannico e discontinuo Steve McQueen. Autore di titoli memorabili e dolorosi come Hunger e Shame e così di altrettanti progetti decisamente meno fortunati, almeno a livello critico e creativo. Per ricordarne uno, 12 anni schiavo, che sfrutta abilmente, ed è il caso di dirlo, perfino prevedibilmente, una fase decisiva della Hollywood risalente ormai ad una decina d’anni fa, o poco più, facendo incetta di premi, senza tuttavia riuscire a convincere il suo pubblico. In quel frangente, McQueen è sulla bocca di tutti, eppure per qualche ragione non lo si vede tornare sui grandi schermi per un po’. Fino al 2018, quando nelle sale cinematografiche internazionali, viene distribuito Widows – Eredità criminale, scritto a quattro mani dallo stesso McQueen in compagnia della nota scrittrice Gillian Flynn, cui dobbiamo recenti successi come L’amore bugiardo – Gone Girl e Sharp Objects.

Perché questo preambolo sulla cinematografia precedente di Steve McQueen? È semplice. Perché molto difficilmente ci saremmo potuti aspettare e immaginare, un cambio di rotta così radicale rispetto a quanto fatto in precedenza. Infatti, per quanto l’indagine sul dolore, propria di alcuni dei titoli citati, non sia effettivamente svanita, è il dramma adulto e tensivo ad essersi perduto lungo il cammino. Spazio alla realtà dell’infanzia, che contrapposta alla distruzione fisica ed emotiva della Seconda Guerra Mondiale, ci permette di conoscere un McQueen inedito, magico e curiosamente alla ricerca di un racconto ormai fuori dal tempo, che molto deve al Neorealismo italiano, senza tuttavia calarsi in esso. Almeno, non fino in fondo. Appena fuori Londra – in seguito luogo primario e protagonista di fughe rocambolesche, lacrime e ancora una volta magia -, Rita (Saoirse Ronan, che nei panni della giovane madre addolorata, non convince mai realmente) non può più permettersi di tenere in casa il piccolo George (Elliott Heffernan è straordinariamente bravo).

Quell’unico figlio, che frutto di un matrimonio breve e di un dolore immenso, raramente ripercorso da McQueen, si ritroverà a dover sopravvivere in un mondo ormai alla fine, popolato da anime buone – poche – e da individui invece inaspettatamente crudeli e spaventosi. La vita però, così come la famiglia è qualcosa per cui vale davvero la pena di lottare e George lo sa molto bene, ecco perché corre, salta e nuota tra i detriti, le macerie, i treni in corsa e le esplosioni, incessantemente causate dai bombardamenti sulle città, che sembrano arrestare tutto e tutti, meno che George. McQueen rilegge Il pianista di Roman Polański in chiave Dickensiana, permettendo un’osservazione altra, innocente, ingenua e sospesa, su ciò che il secondo conflitto mondiale, ha significato realmente per moltissime famiglie e bambini.

L’allontanamento forzato, la necessità di raggiungere altri paesi e famiglie, dimenticando il passato e il volto di tutte quelle madri e tutti quei padri, rimasti a pregare sotto le bombe, in nome di Dio, della pace e dell’amore. George però non intende dimenticare e vestendo i panni altrettanto logori di un Oliver Twist dei tempi moderni, George fiuta il pericolo, talvolta evitandolo, altrimenti scegliendolo – curioso il segmento macabro coi profanatori di cadaveri di Landisiana memoria -, per poi sfuggirli, dormendo dove capita, che sia tra i topi, oppure nel bel mezzo di un bombardamento, riuscendo sempre a mettersi in salvo. Lo sguardo di McQueen, che dirige e scrive Blitz in completa autonomia, senza co-autori o romanzi da adattare, si fa inaspettatamente dolce, fanciullesco e magico. Il punto infatti non è l’impeccabile ricostruzione storica – seppur pregevole -, né tantomeno l’impianto visivo – impeccabile e spettacolare -, piuttosto la capacità di tornare bambini, godendosi un’imponente e maestosa avventura cinematografica, che è animata dal dolore, ma ancor più speranza e dall’amore.

Blitz a più riprese, e così anche il suo adorabile protagonista George, ci suggerisce di farlo e se la concessione non tarda ad arrivare, perfino questo McQueen non più adulto e Disneyano – il film è però prodotto e distribuito internazionalmente da Apple Tv+ che lo rilascerà su piattaforma dal 22 novembre – convince e conquista. Un feel good movie adatto ad un pubblico largo e generalista, scevro di paletti tematici eccessivamente tensivi e moralmente ambigui. Un film che è di fatto un grande abbraccio, poiché l’amore sopravvive a tutto, anche alle bombe, anche alla guerra.
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