ROMA – Un uomo libero, ridotto in schiavitù. Un artista che ha trascorso dodici anni della sua vita passando di padrone in padrone, senza però mai perdere la speranza di rivedere i suoi cari. La vera storia di Solomon Northup è in tutto e per tutto un’Odissea moderna, ricca di colpi di scena e pathos; una vicenda talmente carica di sentimenti e situazioni contrastanti da spingere il regista Steve McQueen a raccontarla con il suo 12 anni schiavo (in streaming su Prime Video), tre Oscar vinti nel 2014 tra cui quello come miglior film. Un’opera potente e dura, interpretata da un intenso Chiwetel Ejiofor (che prese la nomination), che si addentra nella parte più oscura della storia americana senza scorciatoie, anzi sottolineando a più riprese la ferocia degli schiavisti e la loro intrinseca disumanità.
Ma chi era Solomon Northup? Nato nel luglio del 1807 da uno schiavo liberato, crebbe nella città di Minerva, non lontano da New York, come uomo libero. Il padre Mintus ricevette la sua fattoria e le terre adiacenti in eredità dall’uomo che serviva, il Capitano Northup, da cui prese anche il cognome. Una condizione di privilegio che permise alla famiglia di Solomon di vivere dignitosamente e al ragazzo di ricevere un’educazione adeguata, imparando anche a suonare il violino. Nel 1828 Northup sposò la cuoca mulatta Anne Hampton e assieme ai loro tre figli si stabilì a Saratoga. Proprio qui però avvenne il rapimento, ad opera di due uomini che si proclamavano talent scout. Erano in realtà al soldo di schiavisti. Di lì a breve Solomon Northup si risvegliò in stato di semi incoscienza a Washington, prima di essere trasferito a Richmond, in Virginia e successivamente a New Orleans.
Nei dodici di anni di schiavitù che seguirono il rapimento, Solomon Northup finì nelle mani di un proprietario “illuminato”, William Prince Ford (nel film di McQueen è interpretato da Benedict Cumberbatch), che tuttavia, a causa di un dissesto economico, fu costretto nel 1842 a vendere Solomon al feroce John M. Tibaut (Paul Dano). L’uomo rimase in comproprietà tra loro fino al nuovo trasferimento nella piantagione di Edwin Epps (Michael Fassbender). Qui Solomon sperimentò ancora una volta la follia di un uomo brutale e sadico e, nonostante i numerosi tentativi di fuga, non riuscì nell’intento di scappare. Fu proprio da Epps, però, che avvenne l’incontro che gli cambiò la vita, quello con Samuel Bass (Brad Pitt, anche produttore del film), costruttore canadese abolizionista che gli permise di tornare in contatto con la compagna attraverso una serie di lettere.
Grazie all’opera dell’amico Henry Northup, mobilitato dalla moglie, numerose personalità politiche si interessarono al caso. Era il 1852 e il Governatore Hunt ordinò ai suoi agenti di ritrovare Solomon. Le ricerche durarono per mesi e Solomon Northup ottenne la sua libertà nel 1853. Si riunì alla famiglia e la sua vicenda divenne emblematica, tanto da decidere di raccontarla in un libro, scritto assieme a David Wilson. Il memoir vendette trentamila copie e fu un successo editoriale senza precedenti. Per diverso tempo Solomon parlò a lungo in ogni sede predisposta – oggi sarebbe l’ospite perfetto di ogni talk show – tuttavia rinunciò senza drammi alle luci della ribalta. Non si fermò mai, infatti, la sua opera contro lo schiavismo, collaborando con programmi che aiutavano gli schiavi a fuggire in Canada come l’Underground Railroad. Della sua morte non si seppe nulla.
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