ROMA – Sì, sono passati trentasette anni, ma il vecchio mago Zoltar – inquietante, malinconicamente analogico, rifatto perfino da Ibrahimović per J.K. Corden qualche anno fa (lo trovate qui) – non (ci) ha ancora restituito quella monetina, regalata in cambio di un desiderio soffiato via dal vento. E sarebbe il caso di dire: attenti a ciò che desiderate, perché potrebbe avverarsi. Dunque, andiamo con ordine: negli Stati Uniti Big uscì il 3 giugno del 1988, in Italia arrivò qualche mese dopo, il 14 ottobre. Un’onda di tempo volata via, con negli occhi Tom Hanks davanti a Zoltar in quel luna park deserto, intuizione figlia di una sceneggiatura firmata da Gary Ross e Annie Spielberg (sì, la sorella di Steven). Hanks si chiamava Josh Baskin ed era solo un bambino che voleva diventare adulto e mai avrebbe creduto ad uno stregone di plastica.

In quel lontano, lontanissimo, 1988 però Big non fu un caso unico, perché si inserì nelle commedie age-changing prodotte alla fine degli anni Ottanta, vedi Tale Padre Tale Figlio, Viceversa e, perché no, anche l’italiano Da Grande, con Renato Pozzetto diretto da Franco Amurri, per tematica molto (troppo) vicino a Big, usciti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro (coincidenze? No, affatto). Big ottenne un ottimo successo al botteghino, tanto che negli States arrivò addirittura quarto nella classifica annuale, con 114 milioni di dollari di incasso, record assoluto per un film diretto da una regista donna (altri tempi, Kathryn Bigelow, Greta Gerwig e Chloé Zhao erano decisamente lontane), la Penny Marshall di Laverne & Shirley, nonché sorella di Garry, regista di Pretty Woman, e prima moglie di Rob Reiner.

La sceneggiatura, tanto semplice quanto efficace, era supportata da una serie di nomi che di lì a poco avrebbero scritto pagine importanti di cinema: Howard Shore alle musiche (che poi avrebbe vinto tre premi Oscar per Il Signore degli Anelli), Barry Sonnenfeld come direttore della fotografia (poi regista de La Famiglia Addams e Men in Black) e, ovviamente, Hanks. Reduce dal successo di Splash, ma anche dai flop di Niente in comune e La retata, grazie al film della Marshall l’attore, all’epoca trentaduenne, ottenne un Golden Globe e la sua prima candidatura all’Oscar, iniziando, proprio davanti al sinistro mago Zoltar (ed è sinistro ancora oggi, provate a rivederlo), il lungo viaggio che lo avrebbe portato tra i grandi di Hollywood. Prevedibile? Sì, se oggi rivedete Big (e lo ritrovate su Disney+ facilmente).

Perché in fondo qui il suo Josh Baskin non è altro che un fratello minore di Forrest Gump – che sarebbe arrivato sette anni dopo – perché essere grandi non è facile, perché per crescere non basta rimanere se stessi oppure ballare su un enorme pianoforte giocattolo, come nell’indimenticabile scena girata nel F.A.O. Schwarz sulla Fifth Avenue di New York, dove Josh/Tom Hanks, in sneakers, suona Heart and Soul, accompagnato da un monumento come Robert Loggia (scomparso nel 2015, attore fenomenale). E nemmeno New York, dove è ambientato il film, non è uno scenario affatto casuale, paradiso e inferno allo stesso modo (le lacrime durante la notte in hotel sono indimenticabili).

Josh, da Cliffside Park, nel New Jersey, una volta adulto fugge a Manhattan, una sorta di Paese dei Balocchi, una specie di Isola che non c’è. E lui sì, ripensato oggi è un po’ Pinocchio e un po’ Peter Pan al contrario (da notare i maglioni o le sue giacche verdi), piccolo in un corpo grande, con un nuovo giocattolo che però contiene solo guai e responsabilità. Questo, capisce lo sperduto Josh, significa avere trent’anni. E allora forse è meglio tornare a giocare a baseball con il tuo amico, riprendere la bicicletta, riordinare la stanza, buttare l’immondizia e farsi rimproverare da mamma. Per crescere c’è sempre tempo. Un film (ancora) enorme.
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- VIDEO | Qui la scena di Hanks e Robert Loggia sul pianoforte:
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