In fondo ce lo siamo chiesti tutti: ma avevamo proprio bisogno di una versione al femminile di Oceans’s Eleven di Steven Soderbergh? All’apparenza può darsi che la risposta sia negativa, in realtà Ocean’s 8 di Gary Ross – che ora potete recuperare su CHILI – dopo lo scetticismo iniziale si è rivelato un titolo fresco e molto divertente. Perché quando un cast di stelle al femminile si riunisce per dare vita a una nuova stangata, in cui l’obiettivo è il Cartier milionario sul collo di Daphne Kluger aliasAnne Hathaway esibito al gala annuale del Metropolitan Museum of Art, lo spettatore non deve far altro che abbattere ogni riflessione intellettuale e lasciarsi trasportare dal ritmo, dalle gag e dalla verve delle protagoniste assemblate, va detto, con grande intuito.
Ocean’s 8 parte subito fortissimo, con Sandra Bullock – alias Debbie Ocean – che esce di galera e subdolamente finge di voler rompere i fili con la sua famiglia di ladri (il fratello deceduto è il Danny ovvero George Clooney della trilogia maschile, di cui vediamo perfino la tomba), ma non perde tempo per coinvolgere la vecchia complice Lou (Cate Blanchett) in un nuovo colpo gobbo. La prima sorpresa? L’autoironia totale con cui le otto meravigliose attrici si mettono in gioco e che – minuto dopo minuto – diventa la forza di una pellicola che, pur consapevole di proporre un copione tutt’altro che originale, non perde mai ritmo e leggerezza. E non è cosa da poco.
Sceglierne una? Impossibile, perché piacciono davvero tutte: Helena Bonham Carter è la fashion designer che deve vestire la vanesia attrice Daphne Kluger, e la sua prova è un godibile scimmiottamento delle nevrosi di quella professione; Rihanna è l’hacker alternativa, pare spuntare fuori da un centro sociale berlinese, invece è una delle popstar più famose e ricche del mondo e questo ha un effetto ovviamente esilarante; l’emergente Awkwafina è la vera “mano lesta” del gruppo, scaltra e rapida mentre Mindy Kaling è l’intenditrice, l’esperta di gioielli a cui è impossibile rinunciare.
Ma la migliore – se proprio dobbiamo fare un nome – è Sarah Paulson, mamma rassicurante, esperta in mercato nero, una dionna che cede senza troppe esitazioni alla tentazione di delinquere dopo tanti anni, abbandonando le sicurezze e le banalità del talamo familiare: il duetto con la Bullock in azione di convincimento è forse il pezzo di maggior efficacia comica.
E, infine, ecco la Hathaway in versione vanesia, smorfiosa, insopportabile diva, una nuova bizzarra sfumatura espressiva di un’attrice nata come prodotto disneyano preconfezionato e che adesso, invece, non smette più di sorprendere. Il femminismo garbato di fondo aggiunge attualità alla confezione, ma non risulta invadente e fastidioso. Dopotutto, la superiorità femminile è evidente, almeno in termini di astuzia, ed è sottolineata dalla battuta migliore di Debbie Ocean a proposito della sua strategia criminale: «Un lui viene notato, mente una lei è sempre ignorata».
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