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Asghar Farhadi: «Il cliente, tra Arthur Miller e il nuovo volto di Teheran»

Le relazioni umane, l’Iran, il teatro e la famiglia: il regista racconta il suo film Premio Oscar

Asghar Farhadi

ROMA – «Dividere il mondo fra noi e gli altri, i “nemici”, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra e questo impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell’empatia che oggi ci serve più che mai». Asghar Farhadi nel 2017 vince il suo secondo Oscar – dopo Una separazione – per Il cliente ma non sale sul palco degli Academy a ritirare la sua statuetta. Lo fa in aperta protesta contro una legge emanata dall’amministrazione Trump che impediva ai cittadini di sette nazioni “a rischio” di mettere piede sul suolo americano. Ma di cosa parla Il cliente? Di Emad (Shahab Hosseini) e Rana (Taraneh Alidoosti), coppia di attori costretta a lasciare la propria casa al centro di Teheran a causa di lavori di ristrutturazione. Un amico li aiuta a trovare una nuova sistemazione, senza raccontare nulla della precedente inquilina che sarà invece la causa di un ”incidente” che sconvolgerà la loro vita…

Come è nato questo progetto?

Da tempo c’era un’idea molto semplice che mi frullava per la testa, sulla quale prendevo appunti. Quando ho capito che avrei girato un film in Iran, mi sono rituffato in quegli appunti sparpagliati, presi nel corso di diversi anni. Tra l’altro ho sempre desiderato girare un film ambientato nel mondo del teatro. Quando ero più giovane, anch’io ho fatto teatro e il teatro ha sempre contato molto nella mia vita. Questa storia aveva il potenziale giusto per potersi svolgere in quell’ambiente. Così ho cominciato a sviluppare la sceneggiatura attorno a dei personaggi che recitano in un teatro.

Asghar Farhadi
Una scena del film di Asghar Farhadi

Come definirebbe Il cliente? Come la storia di una vendetta o come una storia sull’onore perduto?

Sarebbe difficile per me definire o riassumere Il cliente, o perfino spiegare cosa significhi la storia. Tutto dipende dalle preoccupazioni e dallo sguardo degli spettatori. Per chi lo vedrà come un film sociale, gli elementi relativi a questo aspetto saranno i più importanti. Per altri il punto di vista più importante potrebbe essere quello morale, o qualcosa di ancora diverso. Quello che mi sento di dire è che, ancora una volta, questo film affronta la complessità delle relazioni umane, soprattutto all’interno di una famiglia o di una coppia.

Asghar Farhadi
Asghar Farhadi e Shahab Hosseini sul set de Il cliente

All’inizio del film Emad e Rana formano una coppia ordinaria. Si tratta di personaggi che rappresentano la classe media iraniana?

Emad e Rana sono una coppia borghese iraniana. Non si può dire che rappresentino la maggior parte delle coppie di questo ceto, sia nella loro relazione che come individui. Semplicemente, i personaggi sono stati creati in modo tale che lo spettatore non abbia la sensazione di avere a che fare con una coppia fuori dall’ordinario. Si tratta di due persone normali che stanno insieme, ma con delle specificità. Entrambi lavorano nel settore della cultura e recitano in teatro. Ma vengono a trovarsi in una situazione che rivelerà alcuni aspetti inattesi delle loro personalità.

Una scena del film

Il titolo originale del film sembra far riferimento a quello del dramma di Arthur Miller che Emad e Rana mettono in scena con i loro amici. Perché ha scelto di utilizzare proprio quella pièce?

Avevo letto Morte di un commesso viaggiatore quand’ero studente. Quel dramma mi ha segnato profondamente per ciò che dice sulle relazioni umane. È un’opera molto ricca, che si presta a molteplici livelli di lettura. La sua dimensione principale è quella della critica sociale di un periodo della storia americana, in cui l’improvvisa trasformazione urbana ha causato la rovina di una certa classe sociale. Una categoria di persone non è riuscita ad adattarsi a quella rapida modernizzazione e ne è rimasta schiacciata. Da questo punto di vista la pièce ha molto a che vedere con l’attuale situazione nel mio Paese. Le cose stanno cambiando molto in fretta e coloro che non riescono a star dietro a questa corsa sfrenata vengono sacrificati. Un altro aspetto importante è quello della complessità delle relazioni umane interne ad una famiglia, in particolare per la coppia che si forma tra il commesso viaggiatore e Linda. Quando ho deciso che i personaggi principali del film avrebbero fatto parte di una compagnia teatrale che sta lavorando alla messa in scena di un dramma, l’opera di Miller mi è sembrata molto interessante, nella misura in cui mi avrebbe permesso di stabilire un parallelismo con la vita personale della coppia, attorno alla quale si costruisce il film. In scena Emad e Rana interpretano i ruoli del commesso viaggiatore e di sua moglie. E nella loro vita privata, senza rendersene conto, si troveranno di fronte ad un vero commerciante e alla sua famiglia, di cui saranno chiamati a decidere le sorti.

Un’immagine de Il cliente di Asghar Farhadi

Lei mostra lo sviluppo urbano anarchico di Teheran attraverso quello che i personaggi vedono dalla terrazza del loro nuovo appartamento. Si tratta della sua visione della città nella quale vive e lavora?

La Teheran di oggi è molto simile alla New York che Arthur Miller descrive all’inizio del suo dramma. Una città che cambia ad un ritmo delirante, che distrugge tutto ciò che è vecchio, i frutteti, i giardini, sostituendoli con delle torri. È in questo ambiente che vive il commesso viaggiatore. Ed è un altro parallelismo tra il mio film e il dramma di Miller. Teheran sta cambiando in modo frenetico, anarchico, irrazionale. Quando un film racconta la storia di una famiglia, la casa in cui vive gioca per forza un ruolo centrale. Questo è evidente anche nei miei film precedenti. La casa e la città occupano ancora una volta un posto fondamentale.

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