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L’altra faccia della fine del mondo | Antropocene e la storia di un documentario

Un documentario, una mostra, molte domande: guida al film evento in sala il 19 settembre

Sul set: Edward Burtynsky con Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier in azione durante le riprese di Antropocene.

ROMA – «Non c’è modo di tornare indietro. Ormai viviamo in un mondo diverso». Più che un semplice documentario, un lavoro unico, un’opera che abbandona ogni intento didattico per sollevare domande, interrogandosi sulla creatura più complessa (e controversa) che abbia mai abitato la Terra. Quale? L’uomo, ovviamente. Antropocene – L’epoca umana – documentario in uscita in sala il 19 settembre dopo i passaggi a Toronto e Berlino – è il terzo capitolo di una trilogia, un lavoro di alta sartoria in cui un fotografo, Edward Burtynsky, e due registi, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, combinano arte, cinema, realtà virtuale e ricerca per narrare da un altro punto di vista i cambiamenti che l’essere umano ha impresso nel mondo dal suo arrivo.

Antropocene
Jennifer Baichwal a Carrara sul set di Antropocene.

Come interagiscono insomma uomo e natura? Per gli autori di Antropocene – L’epoca umana la risposta è chiara: si tratta di un rapporto in continua evoluzione, destinato a mutare ancora nei secoli a venire. Eppure, quello che fino ad oggi ci è dato sapere, è sufficiente a farci rendere conto di un elemento essenziale: l’uomo ha plasmato la natura a sua immagine e somiglianza. Antropocene, infatti, è il nome assegnato all’era geologica, avviatasi a metà del Ventesimo secolo, in cui sono gli esseri umani la causa principale delle trasformazioni del pianeta. Un’affermazione che è il frutto di una ricerca durata dieci anni, condotta da un gruppo di scienziati, l’Anthropocene Working Group che il documentario segue scrupolosamente.

«Siamo attivi nella moderna civiltà da circa diecimila anni e ara dominiamo completamente un pianeta che esiste da oltre 4,5 miliardi di anni» riflette de Pencier. Sono cifre che non avrebbero bisogno di alcuna spiegazione, eppure provare a comprendere cosa si nasconda dietro ad un assunto all’apparenza semplice è un’operazione essenziale. Quanto è dominante l’uomo rispetto al mondo circostante? Tanto, troppo e questo è già noto a tutti, ma i due cineasti lo documentano attraverso riprese innovative, aeree e subacquee, e mostrando paesaggi poco conosciuti. Qualche esempio? Le pareti di cemento in Cina (il 60% della costa continentale), le miniere di potassio negli Urali, la Barriera Corallina in Australia, gli stagni di evaporazione del litio nel deserto di Atacama. L’uomo, insomma, ha sfruttato il possibile, oltrepassando più di una volta i confini del lecito, come si vede ad esempio dal commercio dell’avorio con il massacro di elefanti in Kenya.

Antropocene
La baraccopoli di Makoko

La voce narrante nella versione originale – di Alicia Vikander –  fa da raccordo tra le immagini mozzafiato e le interviste fatte a chi si occupa del tema. Cambiamenti climatici, inquinamento, smaltimento dei rifiuti: punti di un discorso più ampio che addebita all’uomo gran parte delle responsabilità di una situazione che rischia di diventare catastrofica. Ma se l’uomo è il principale colpevole è anche l’unico essere in grado di migliorare il presente. Come? Anche attraverso opere come Antropocene, rivolte non solo a chi già possiede una sensibilità ecologica, ma soprattutto a coloro che ritengono inutile il proprio intervento.

Un dettaglio della mostra al MAST di Bologna.

Per capire e cambiare le cose bisogna cominciare a guardare il mondo con occhi diversi, anche attraverso un documentario oppure una mostra, perché fino al 5 gennaio 2020 Antropocene sarà anche in scena al MAST di Bologna, con esperienze immersive, incontri e quattro murales ad alta risoluzione realizzati a partire da fotografie di Burtynsky e capaci di offrire esperienze di visione sorprendenti, esplorando nei minimi dettagli alcuni luoghi simbolo dell’emergenza ambientale. Per informazioni: anthropocene.mast.org

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