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Antonio Milo: «Il commissario Ricciardi? Raccontiamo una Napoli inedita»

Dai libri di Maurizio de Giovanni alla serie targata Rai: Antonio Milo racconta il suo Brigadiere Maione

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Il commissario Ricciardi e il Brigadiere Maione, creati dalla penna di Maurizio de Giovanni

MILANO – A metà della corsa, con tre episodi su sei andati in onda, Il commissario Ricciardi ha già riscosso un enorme successo che sembra solo destinato a crescere. Prodotta da Rai Fiction e diretta da Alessandro d’Alatri, la serie è tratta di romanzi di uno degli autori crime più amati in Italia, Maurizio de Giovanni. Ambientata a Napoli negli anni Trenta, in pieno regime fascista, la storia segue il commissario Ricciardi (Lino Guanciale, qui la nostra intervista), un abile poliziotto che ha una particolarità: può vedere i fantasmi di coloro che sono morti di morte violenta. Al suo fianco, l’inseparabile Brigadiere Maione, interpretato da Antonio Milo. Grande talento italiano a partire dal teatro, già conosciuto per i suoi ruoli in La nuova squadra, Joe Pietrosino e Maltese – Il romanzo del commissario, la sua interpretazione di Maione lo ha già fatto diventare uno dei personaggi più amati. Lo abbiamo così contattato per parlare della serie e del suo Brigadiere, tra Napoli, il teatro e la nuova esperienza della “formazione”.

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Antonio Milo e Lino Guanciale in una scena de Il commissario Ricciardi

IL BRIGADIERE MAIONE «Maione? Lo descriverei come un napoletano verace, se dovessi scegliere un personaggio tra quelli raccontati nella serie forse è quello che restituisce più l’immagine di Napoli perché all’interno della sua storia ci sono il dolore, la positività data dal vedere oltre e superare questo tipo di dolore, la famiglia, l’amicizia, l’accoglienza di una diversità come quella di Bambinella (l’informatore di Maione interpretato da Adriano Falivene, ndr). Quindi andando in parallelo con la città, Napoli è anche tutto questo: è accoglienza, è valori della famiglia. Diciamo che noi raccontiamo una Napoli diversa da quella raccontata fino adesso».

DIETRO IL PERSONAGGIO «Conoscevo già i romanzi di de Giovanni, quindi conoscevo il personaggio e sapevo a cosa andavo incontro. Come lavoro, fisicamente, per i movimenti e la camminata di Maione, mi ha aiutato molto la divisa, realizzata dalla costumista Alessandra Torella che ha fatto un lavoro straordinario. Per quanto riguarda poi l’aspetto interiore del personaggio, ho lavorato su due poli importanti. Prima di tutto la percezione di come può agire una persona che ha subito un lutto così devastante. Ovviamente io non ho perso un figlio, una cosa secondo me innaturale per un genitore, quindi ho dovuto scavare nel mio bagaglio personale e sovrapporlo a quello. E poi ho lavorato anche sul rapporto padre/figlio con Ricciardi. Perché Maione oltre a essere amico e braccio destro, è anche un padre che non comprende fino in fondo il figlio. Ricciardi vede quello che gli uomini normali non vedono, e lui non capisce bene cosa veda il commissario. Però gli vuole bene lo stesso, in qualche modo si fida».

Antonio Milo e il regista Alessandro d’Alatri sul set de Il commissario Ricciardi

IL PERIODO STORICO «Noi attori siamo privilegiati perché il nostro lavoro è una macchina del tempo, ed essere immersi in un’epoca che non abbiamo vissuto è una cosa straordinaria. Io l’ho vissuta un po’ con gli occhi di un bambino al luna park, perché mi è capitato di vedere questo mondo raccontato poco, visto che i miei nonni parlavano del loro passato più nella sofferenza della guerra. Questo periodo viene un po’ prima ed è un periodo storico straordinario per Napoli, perché la città a quell’epoca era una capitale importante della cultura, era una città considerata alla moda, chic, glamour. Lo si vede anche nei vestiti, soprattutto nei costumi delle donne, che sono bellissimi e molto eleganti. C’era un occhio particolare all’estetica che forse non è più tornato. E poi avere la possibilità di portare una macchina degli anni Trenta, quante persone posso dire di averlo fatto? Quindi è stato un gran bel gioco, serio, però un bel gioco».

NAPOLI «Napoli rappresenta allo stesso tempo le mie radici e una fonte di ispirazione. Basta camminare per la città per poter attingere a personaggi, tic, modi di dire che io ho anche utilizzato e inserito all’interno della serie, soprattutto quando parlo con Bambinella. La famosa battuta della prima serata “Ma che ti mangi le punte del grammofono?”, è un modo di dire che diceva mia nonna e sono quelle cose che cogli in strada. D’altronde tutti i grandi autori e scrittori hanno sempre detto che Napoli è stata una fonte di ispirazione molto forte e credo lo sia stata anche per Maurizio de Giovanni».

Antonio Milo e Kim Rossi Stuart sul set di Maltese – Il romanzo del commissario

GENERE POLIZIESCO «Devo dire che questi ruoli mi sono capitati, però è molto divertente impersonare un poliziotto per il semplice fatto che è lo stereotipo dell’eroe, motivo per il quale poi il poliziesco va di moda. Se vuoi essere ascoltato da una rete o da un produttore, se ti presenti con una bella storia poliziesca hai un valore aggiunto. Perché in realtà racconti quella che è la figura di colui che combatte il male per eccellenza. Come si dice, è un evergreen, va sempre di moda. In qualsiasi epoca tu lo faccia. Poi nella realtà le cose sono ben diverse, però noi raccontiamo storie e favole… sogni.»

TEATRO E TELEVISIONE «Credo che la differenza principale sia imparare a rapportarsi con un mezzo che è diverso da quello della platea teatrale. La macchina da presa, l’obiettivo, ti induce a fare un lavoro di sintesi di tutto quello che fai in teatro. È il gap che dopo 15 anni di teatro mi sono trovato a superare quando si è fatta avanti la fiction. Perché quando ho iniziato io, in Italia non c’erano, non venivano prodotte ma comprate dall’estero. Abbiamo iniziato a produrle intorno al 2001. Però la prima volta che mi sono trovato davanti la telecamera ho capito che c’era un lavoro da fare ben diverso e che dovevo strutturarmi, quindi sono tornato a studiare tecniche più specifiche che mi aiutassero a sintetizzare e lavorare sulla sfera interiore perché quando un obiettivo ti inquadra in primo piano gli occhi esprimono quello che provi dentro. Se non provi nulla, se non c’è un racconto interiore, l’obiettivo legge il nulla quindi vieni subito sgamato».

Antonio Milo, Lino Guanciale e Alessandro d’Alatri sul set de Il commissario Ricciardi

L’INSEGNAMENTO «Amo definirmi un formatore più che un insegnante perché ritengo che per il nostro mestiere “insegnare” e “maestro” siano paroloni grossi. Un mio maestro diceva sempre “allievo” perché bisogna porsi nell’atteggiamento per cui c’è sempre qualcosa da imparare. Per quanto riguarda la formazione mi piace e mi gratifica molto. È una cosa che ho scoperto quasi per caso, una persona mi ha spinto a farlo e all’inizio non ero neanche tanto convinto, però poi da quell’esperienza ho capito che in qualche modo, arrivato a una certa età di maturazione personale e professionale, è bello trasferire la conoscenza a chi sta approcciando il tuo stesso mestiere. È anche capitato che con alcuni dei giovani attori venuti ai miei workshop abbiamo lavorato insieme sul set. È stata veramente una grande emozione.»

ATTORI PREFERITI «Sono sicuramente più di uno. Sono sempre stato affascinato da Gian Maria Volonté ma adoro anche la capacità di mimesi che ha Pierfrancesco Favino. È veramente straordinario. E poi ovviamente ci sono i miti Al Pacino e De Niro che, insomma, chi fa questo mestiere non può che ritenerli dei mostri di bravura, dei punti di riferimento e degli esempi da seguire, professionalmente parlando».

  • Lino Guanciale: «Il commissario Ricciardi e il mio viaggio tra Fellini e Philipe»
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Qui potete vedere la nostra video intervista a Maria Vera Ratti:

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