MILANO – Ma dov’era finito? Nove anni dopo il brillante esordio di L’attesa – passato alla Mostra di Venezia e segnalato anche ai David di Donatello – con Juliette Binoche e liberamente ispirato a La vita che ti diedi di Pirandello, Piero Messina aveva fatto molta televisione (tra tutte le cose fatte L’ora) prima di tornare con il suo secondo film da regista, ora in arrivo al cinema: una gestazione lunga appunto nove anni e una storia che ha preso molte forme fino a diventare Another End. Un dramma profondo, un film ambizioso e affascinante che riflette sul lutto e sul dolore, colorando di tinte sci-fi e estetica potentissima un cast di prima fascia, a partire dalla coppia di protagonisti, ovvero Gael García Bernal e Renata Reinsve (direttamente da quella prova strabiliante che fu in La persona peggiore del mondo), coppia che anche da sola varrebbe il prezzo del biglietto.

Ma ovviamente c’è molto altro. Prima di tutto però di cosa parla Another End? Dopo la perdita della moglie Zoe, Sal (Gael García Bernal) sprofonda sempre più nel dolore, non riuscendo a trovare una ragione di vita. La sua unica ancora di salvezza è rappresentata da sua sorella Ebe (Bérénice Bejo), che per uscire dal tunnel di sofferenza gli propone di esplorare un’innovativa soluzione: Another End. Cos’è? Una rivoluzionaria tecnologia che offre un’opportunità unica per alleviare il peso della perdita: permette di trasferire temporaneamente i ricordi, i pensieri e persino la personalità di un defunto in una persona viva. Tra speranze e timori, Sal si trova così di fronte ad una scelta azzardata che potrebbe cambiare radicalmente la sua stessa vita, ma che gli permetterebbe di lasciar andare (forse) la sua amata.

Il duo di protagonisti è lo strumento che riflette le conseguenze dell’omonima tecnologia che dà il titolo al film, profonda riflessione sul lutto, l’amore, ma più di tutti sul superare i traumi e cercare di andare avanti con le proprie vite, in qualsiasi modo. La vita, la morte, l’assenza, ma anche la non rimediabilità delle cose. E qui, in ambienti asettici, Sal e Zoe si (ri)incontrano e si (ri)innamorano: due anime solitarie pronte a sprofondare nell’abisso che decidono di farlo assieme, se fosse questo il caso. Another End insegue un filone sempre più florido della fantascienza che è il suo aspetto più intimista: quella fantascienza che indaga sugli umani rendendo qualsiasi rapporto presente e metafora di sentimenti non così distanti.

Lo sguardo sul lutto con la lente di ingrandimento alla After Yang o Black Mirror è chiaro, ma Another End resta racchiuso in raccordi narrativi specifici che spediscono la storia al di fuori del tempo e dello spazio, persino per i canoni dello sci-fi. L’atmosfera è straniante, eppure così familiare. La metropoli in cui è ambientato è straniante, eppure così familiare. Stessa cosa per usi e costumi, così poco approfonditi da sortire l’effetto contrario ed incuriosire: è interessante l’approccio psicoanalitico che viene fatto della tecnologia per condurci poi ad una riflessione profoondamente filosofica: fino a dove può arrivare l’uomo? Cos’è giusto che si sappia? Quanto un ricordo può durare nella mente delle persone che ci hanno amato in vita?

Piero Messina cattura la nostra attenzione con un futuro che tanto lontano non sembra, grazie anche ai due protagonisti che si è scelto, Gael García Bernal e Renata Reinsve, molto complici tra di loro nonostante i caratteri apparentemente agli antipodi dei loro personaggi. Messina non nasconde niente nel suo film, neanche i colpi di scena e Another End tratta in maniera molto onesta il pubblico, non lo sottovaluta mai, anzi, succede spesso il contrario e noi ci troviamo a seguire e empatizzare con questi due meravigliosi esseri umani di nome Sal e Zoe che – nemmeno a dirlo – sono lo specchio di noi, delle nostre paure e delle nostre fragilità, di quello che vorremmo essere e di quello che non abbiamo fatto mai. Un’opera forte da vedere e – soprattutto – su cui riflettere.
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