ROMA – Maglioncino turchese, sorriso gentile e piglio ironico. Annie Ernaux, scrittrice francese appena insignita del Premio Nobel per la Letteratura, si presenta così al nostro incontro per parlare di Annie Ernaux – I miei anni Super-8, documentario presentato alla Festa del Cinema – ora in sala con I Wonder Pictures – composto da una serie di video girati dalla scrittrice e dalla sua famiglia tra il 1972 e il 1981 e accompagnati dalla voce narrante della stessa Ernaux. Un’ora di immagini, montate dal figlio del Premio Nobel, David Ernaux-Briot, in cui il ricordo personale diventa anche la fotografia precisa di un’epoca ormai passata. Un baule di ricordi intimo e universale, una novella visiva in cui la scrittura della Ernaux s’intreccia con i filmati di famiglia.
IL RACCONTO «Per me in questo film era importante fare un racconto che fosse coerente, dare la sensazione del tempo e delle cose che cambiano e non commentare. È un po’ quello che ho fatto anche ne Gli Anni, un racconto senza interruzioni. Ed è proprio questo racconto senza interruzioni che ho dato a mio figlio perché poi lui lo adattasse sulle immagini».
IL FUTURO «Sono sempre molto prudente nel parlare del futuro, perché quello che accadrà non è mai quello che abbiamo immaginato prima. Nel caso del Chile di Allende, a quel tempo, avevamo capito che qualcosa non andava bene ma mai avremmo potuto immaginare che sarebbe stato assassinato. Se pensiamo a Mosca, invece, in quell’epoca si immaginava che quel regime sovietico sarebbe stato irremovibile. Il nostro mondo è stanco, non saprei dire dove possiamo trovare la speranza. Vedo uno scivolamento dell’Europa verso l’estrema destra, la questione climatica è in una situazione disastrosa…».
IL FEMMINILE «La questione dell’emancipazione femminile è messa a rischio dall’avanzare della destra. Ci sono differenze tra paesi, in alcuni i diritti delle donne sono totalmente attaccati, Penso alla Polonia o agli Stati Uniti. In generale credo si tratti però di un’offensiva. C’è chiaramente questa questione contrastata dall’estrema destra che ritiene che le donne dovrebbero stare a casa e occuparsi dei figli, un’ideale fascista che si sta ancorando nella mentalità comune. Ma è anche vero che oggi c’è il movimento Me Too che si sta espandendo tantissimo e al quale partecipano con fervore le giovani donne che hanno voglia di lottare contro il patriarcato. Questa è la strada che sta sempre più attivandosi. Io sono una testimone degli anni Sessanta e posso dire che è un movimento che somiglia molto a quello di quegli anni là. Ma oggi è più realista, condiviso e profondo».
I RICORDI «Quello che mi ha colpito rivedendo quelle immagini è una certa distanza tra me, io che mi conosco e ricordo com’era quel tempo. Ad esempio, me in classe con gli studenti o nei movimenti a cui partecipavo, come quello per la libertà all’aborto… Quello che vedo è una donna un po’ distante davanti alla telecamera e nel contesto familiare. Come se fossi altrove. Un aspetto su cui ho insistito nel racconto e che corrisponde alla scrittura, perché ho iniziato letteralmente a scrivere davanti a quella telecamera in quel momento della mia vita».
LA MEMORIA E LE IMMAGINI «Le immagini che uno conserva sono mentali, sono dei ricordi, come un’enorme serbatoio di immagini che uno ha e che scompaiono con la persona. Invece nel film le immagini sono materiali. Questo dimostra l’importanza di dare vita alle immagini, qualcosa che si può fare sia con i film che con i libri e alla fine è la funzione dell’arte: conservare le immagini. Un aspetto sempre più importante se consideriamo la velocità a cui gira il mondo».
LA SCRITTURA «Quando ho visto il film sono stata molto colpita perché quello è stato il tempo in cui ho scritto il mio primo libro. Mi colpiscono la determinazione e la forza che avevo di andare verso la scrittura. Scrivevo contro la vita che facevo in quel momento. Anche se in quel primo romanzo non c’è nulla che riguardasse la vita del tempo. Un’altra cosa che ho notato è il fatto che mio marito nel tempo ha ripreso sempre meno noi e sempre più i paesaggi. L’ho letto come un suo distanziamento dalla famiglia».
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