ROMA – In un casolare di campagna vive una famiglia religiosa che seguono alla lettera le Scritture dell’Antico Testamento. Le tre figlie non hanno mai abbandonato la proprietà spinte da rispetto, dovere e sotto l’egida di un padre padrone e una nonna dogmatica. Il momento comune della Confessione chiude la giornata ed è quello in cui tutti sono costretti a rivelare ogni loro azione e pensiero recondito. L’arrivo al casolare di un altro nipote della nonna cambierà per sempre il loro destino. Amen, un film di Andrea Baroni con Grace Ambrose, Francesca Carrain, Luigi Di Fiore, Paola Sambo, Valentina Filippeschi, Simone Guarany e Silvia D’Amico. Dal 27 giugno al cinema con Fandango.

Un film nato in pieno lockdown, ispirato dal caso fortuito per Baroni: «Sono sempre stato affascinato dal concetto di limite. Nel corso degli anni poi, ho maturato che fosse più di una fascinazione, ma addirittura una vera ossessione. Amen nasce dal caso che, nel periodo successivo alla reclusione e alla limitazione comune, scoprissi un luogo (il casolare delle riprese), che per me rappresentava allo stesso tempo il ricordo della felicità e quello dei divieti. Nei giorni successivi a quella scoperta, non riuscivo a non tornare continuamente a quella sensazione. Ho impiegato poco meno di due settimane per scrivere una sceneggiatura che non esisteva, e che non era mai esistita in forma di soggetto».

Quindi Amen, come opera sospesa, atemporale, diretta con rigore, inframezzata di momenti poetici di puro realismo magico che incamerano, in colori tenui, le luci e nelle ombre di una vita votata al pentimento, alla Santità come necessità e al Credo come imposizione e violenza. Una tortura psicologica esercitata dalla nonna matriarca e dal padre padrone corroso dal dolore della moglie scomparsa, che annienta gli eccessi ma anche gli impulsi vitali, in una Confessione come oppressione verso le tre sorelle. Su di esso – con mestiere – Baroni costruisce una narrazione dagli equilibri fragili perché continuamente minacciato dalle giovani. Da Ester (un’indomabile Francesca Carrain), in particolare, vogliosa di vita e di esperienze, che sfida apertamente la censura paterna.

Ma anche da Sara (una grande Grace Ambrose), curiosa, sempre sul punto di rompere quel malsano schema familiare, eppure continuamente trattenuta, sommessa, tra sensi di colpa e la necessità di restare sulla retta via. L’arrivo del silenzioso Armando (Simone Guarany) scatena gli impulsi proibiti delle due adolescenti demolendo, giorno dopo giorno, le certezze di un quotidiano basato sul controllo e l’autorità, per far scoprire in esse la vita e la libertà di scelta. Uno schema narrativo, quello di Amen, non dissimile dal Teorema di Pier Paolo Pasolini o lo stesso Le Meraviglie di Alice Rohrwacher. Non c’è però alcun attacco al ruolo dei media, né di tipo ideologico nell’opera prima di Baroni.

Quello di Amen è un inno alla vita e al crescere in armonia con la natura e con il mondo circostante. Al coraggio di osare e di prendersi le proprie responsabilità, ad amare e a farlo con lucidità, ma anche alla Fede lontana da estremismi e manipolazioni per essere unicamente caritatevole, equilibrata. Una speranza per il futuro, esattamente come vuol essere un’opera prima dalla simile forza filmica.
- OPINIONI | Anna, la recensione
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