ROMA – 1974. La nobildonna francese Ariane assolda lo scalcinato sceneggiatore italiano Pietro. I due si isolano in una villa di campagna per scrivere un copione da inviare poi a Luchino Visconti, basato sul romanzo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto. Per entrambi quella potrebbe essere una svolta, un riscatto, l’ultima chance di grandezza in una carriera che forse sta volgendo al tramonto. Parte da qui il viaggio de À la Recherche, il nuovo film di e con Giulio Base che dopo il passaggio alla Festa del Cinema di Roma – dove il regista aveva portato anche i precedenti de Il maledetto, Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma e Bar Giuseppe – arriva ora al cinema.

Ma cos’è À la Recherche? Un kammerspiel meta-cinematografico intellettuale, recitato interamente in francese, su un uomo e una donna, Ariane e Pietro, definiti da Base come due sconfitti: «Due sconfitti dalla vita, due anime scure ma anche tenere che ho cercato di seguire con sguardo equidistante nei confronti delle loro mancanze e delle loro debolezze». Lei, una grande e magnetica Anne Parillaud, qui nel ruolo di ex-amante di Visconti in cerca di un modo per rientrare nelle sue grazie. Lui, uno sceneggiatore che ha annegato il suo talento nel cinema popolare sotto pseudonimo. Sullo sfondo gli infuocati anni Settanta italiani: «Tempi insieme favolosi e plumbei. L’aspirazione è stata quella di tratteggiare un ritratto dolceamaro classico nella concezione ma stratificato nella lettura politica nonché leggero».

Ed ecco quindi À la Recherche incontro-scontro di individui, contenitori emotivi di volontà, desideri, ideologie e ambizioni, avvolti nelle varie fasi di un processo creativo fatto di stimoli, provocazioni, violenza e vita, caratterizzato da una regia che ragiona di piani sequenza quasi impercettibili e movimenti di camera a passo d’uomo. Nel mezzo, una sequenza pressoché infinita di teorizzazioni, citazioni e riflessioni che spaziano da Thomas Mann ad Apocalypse Now passando per il concetto di cinema militante, le Brigate Rosse, Mean Streets e la figura umana e artistica di Visconti in funzione del cinema mondiale. Ma – soprattutto – una narrazione ispirata su di un vero aneddoto perché Visconti lavorò davvero per anni a un adattamento de Alla ricerca del tempo perduto, solo non in questi termini.

Un interesse che nacque in lui già da bambino grazie alla passione del padre, e che lo seguirà nel corso della sua formazione culturale e della sua attività registica. L’apice si ebbe alla metà degli anni Sessanta quando Nicole Stephane acquistò i diritti di quella che Base non esita a definire in una linea dialogica di À la Recherche come opera metafisica: «Sì, un’opera metafisica, la vera cattedrale letteraria dell’Occidente», affidandola in una prima battuta ad Ennio Flaiano con il compito di tradurla in uno script. Nel 1968 giunse nelle mani di Visconti che vi lavorò senza sosta, anche durante la lavorazione e susseguente post-produzione di Morte a Venezia, dando vita a uno script complesso di ben 363 pagine assieme al contributo vitale di Suso Cecchi d’Amico.

Si arrivò perfino alle pendici della pre-produzione con tanto di location scouting. Poi il brutale arresto per assenza di fondi, con Visconti che si spinse verso Ludwig e poi Gruppo di famiglia in un interno. Infine L’innocente, il suo ultimo film, prima della scomparsa a 69 anni. In questo contesto si inserisce la narrazione di Base e di À la Recherche a metà tra un falso storico d’autore e ultimo grandioso tentativo di grandezza proustiana, che più che raccontare in forma romanzata del sogno mancato di Visconti, vuol unicamente (e degnamente) tratteggiare un ritratto d’insita grandezza del regista mostrandocela dal punto di vista di due outsider, disperati e romantici. Un piccolo-ma-grande film quello di Base, a cui l’etichetta di instant cult va perfino stretta…
- INTERVISTE | Anne Parillaud: «À la Recherche e il mio film italiano»
- VIDEO | Qui la nostra intervista a Giulio Base:
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